Un futuro americano per la nostra salute?

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washingtonRecentemente è stato pubblicato su Lancet un articolo a dir poco inquietante: secondo i ricercatori inglesi autori dello studio, a causa dei tagli alla sanità realizzati negli ultimi anni in Grecia a seguito della riduzione della spesa pubblica, e all’abbattimento del bilancio della sanità, dovuti alla crisi del debito sovrano e alle misure di risanamento richiesti da Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale, la mortalità infantile nei primi mesi di vita è aumentata del 43%, mentre il numero dei bambini che nascono sottopeso è cresciuto del 19% e il numero dei bimbi nati morti del 20%. Non solo questa emergenza: i tagli delle forniture di siringhe monouso e profilattici ai tossicodipendenti ha fatto crescere le nuove infezioni Aids correlate tra i tossicodipendenti nel giro di soli 3 anni da 15 a 484. Una situazione quella Greca che rappresenta solo il fenomeno più estremo di una problematica più vasta che coinvolge molti altri paesi Europei, soprattutto dell’area mediterranea, e diversi paesi balcanici, appena entrati o in attesa di entrare nell’Unione Europea, e naturalmente fra questi anche il nostro Paese. Nel periodo dal 2007 al 2012 infatti la povertà assoluta in Italia è cresciuta di circa il 60%, arrivando a interessare il 6,8% della popolazione, quindi circa cinque milioni di persone, e le famiglie con meno reddito spendono per la sanità attualmente una media di 16,34 euro al mese, ovvero circa il 2% dell’intero budget familiare, rispetto ai 92,45 euro (3,7%) delle famiglie italiane. Altrettanto clamore ha fatto, ma per contrasto, la recente pubblicazione della classifica annuale dei dieci medicinali più venduti nel mondo: nel loro insieme nel 2013 hanno fatto guadagnare 76 miliardi di dollari, circa 55 miliardi di euro. Nei due anni precedenti, la classifica era stata capeggiata da un farmaco anticolesterolemico che dal 1996 ha fatto guadagnare alla Pfizer 141 miliardi di dollari, mentre ora il più venduto è un medicinale antinfiammatorio che nel 2013 ha incassato da solo 10 miliardi e 600 milioni di dollari e che negli ultimi quattro anni è arrivato a raddoppiare le vendite; al secondo e terzo posto della graduatoria, con 8,7 e 8,4 miliardi di dollari di fatturato, altri due antinfiammatori, mentre al quarto un antiasmatico con 8,2 miliardi e un antidiabetico al quinto (7,6 miliardi). Se in generale negli ulti anni la spesa farmaceutica dello Stato tende a diminuire (1-2% secondo dati Aifa 2013), le ricette crescono, cosi come le plusvalenze derivate dalla vendita dei famaci, come abbiamo visto, questo significa che chi paga sempre di più è il cittadino. Si va dunque verso una sempre maggiore privatizzazione dei servizi sanitari e della salute secondo un modello orami definito come “americano”. Oggi infatti chi ha occasione di visitare questo Paese può constatare che almeno la metà della pubblicità televisiva e cartacea è rappresentata appunto da proposte assicurative sanitarie, offerta di servizi “di eccellenza” per effettuare esami strumentali, radiologici, o per interventi chirurgici, terapie oncologiche, e chi più ne ha più ne metta. Quindi la prospettiva è orami di avere da ora in poi anche da noi una sempre maggiore pressione dei servizi assicurativi che garantiscono la copertura delle spese sanitarie con costi che negli Stati Uniti sono di centinaia, o migliaia di dollari a seconda del numero e della qualità delle prestazioni garantite, ma spesi non annualmente, bensì mensilmente.
Ma se la situazione che si prospetta è questa, allora, ci permettiamo di dire in modo volutamente provocatorio, del modello americano prendiamoci tutto. Prendiamoci non solo il “mercato della salute”, ma anche la crescita progressiva e massiccia del ricorso alle terapie naturali, tante e diverse, spesso che attingono alle medicine tradizionali (agopuntura e medicina tradizionale cinese, coreana, kampo, ayurveda, mindfulness, yoga, massaggi e ginnastiche orientali…) sempre e comunque proposte in una prospettiva scientifica che richiede per ciascuna di queste dimostrazioni di efficacia di sempre maggiore qualità. Tanto per capire di che si sta parlando, ricordiamo che nel 1991 è stato creato presso il National Institute of Health un ufficio per la medicina alternative: OAM, che dal 1998 è divenuto National Center for Complementary and Alternative Medicine (NCCAM), e che ora si appresta a divenire il National Centre for Research in Complementary and Integrative Health, ed è finanziato con 120-130 milioni di dollari l’anno, quasi interamente spesi a sostegno della ricerca in medicina complementare. Dal 1999 esiste un consorzio di università e centri di ricerca (Consortium of Academic Health Centers for Integrative Medicine) che nel tempo è cresciuto da 11 a 57 membri il cui scopo è di sostenere la formazione, la ricerca e l’applicazione clinica delle medicine complementari e integrative. Iniziative analoghe, di dimensioni simili in termini di finanziamento milionario e sostegno statale si stanno avendo in Cina, in Corea, in Australia. In questo elenco risulta clamorosamente assente l’Europa, o meglio una parte del nostro continente c’è, e da tempo, ma si parla di Nord Europa, di Paesi scandinavi, Germania, Regno Unito. Manca del tutto l’area Mediterranea, e manca soprattutto l’Italia il cui sostegno alla ricerca in MC negli anni è attualmente, ed è sempre stato, pari a zero, e con l’aria che tira, è facile prevedere che questo trend continuerà ancora molto a lungo.

Elio Rossi