L’invecchiamento è caratterizzato da uno spostamento funzionale del sistema immunitario verso un fenotipo proinfiammatorio. Squilibrio che è stato associato al declino cognitivo, implicato anche nella patogenesi della demenza, in cui la dieta potrebbe svolgere una azione modulatrice importante. Su questa base, un gruppo di ricercatori ha avviato uno studio (“Diet inflammatory index and dementia incidence: a population-based study”) per valutare l’effettivo potenziale infiammatorio della dieta, valutato tramite un indice infiammatorio dietetico (DII) e specifici biomarcatori, associato al rischio di demenza nella popolazione di età avanzata.
Sono state così randomizzati 1.059 individui della Hellenic Longitudinal Investigation of Aging and Diet (HELIAD), con età media di 73 anni che non presentavano demenza, monitorandone per una media di 3 anni e mezzo le abitudini alimentari. Queste sono state raccolte attraverso un questionario dedicato il cui potenziale infiammatorio, ovvero livelli di citochine pro e antinfiammatorie nel sangue, è stato misurato con uno specifico punteggio DII.
Suddivisione della popolazione
Il questionario somministrato ai partecipanti mirava a stabilire la frequenza di assunzione di alcuni gruppi di alimenti, tra cui latticini, cereali, frutta, verdura, carne, pesce, legumi, grassi aggiunti, bevande alcoliche, stimolanti e dolci, nel mese precedente lo studio poi stimato con un punteggio infiammatorio variabile da -8,87 (dieta meno infiammatoria) a 7,98 (dieta più infiammatoria). In relazione al range ottenuto, i partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi. È stato così possibile osservare che punteggi inferiori a -1,76 erano associati a un consumo medio a settimana di 20 porzioni di frutta, 19 di verdura, quattro di fagioli o altri legumi e a 11 dosi di caffè o tè, mentre i punteggi più alti, da 0,21 in su, corrispondevano all’assunzione media a settimana di nove porzioni di frutta, 10 di verdura, due di legumi e nove di caffè o tè. Durante il follow-up si sono registrati 62 casi di demenza, in persone con punteggi medi di -0,06, rispetto ai punteggi medi di -0,70 in soggetti con assenza di malattia. Dopo aver aggiustato per età, sesso e istruzione, gli esperti hanno scoperto che ogni aumento di punto al DII corrispondeva a un incremento del 21% del rischio di sviluppare demenza.
Risultati e limiti
I dati ottenuti dallo studio attribuiscono alla dieta un potenziale ruolo ‘modulatore’ nel combattere l’infiammazione implicata nei percorsi biologici che stimolano il rischio di demenza e deterioramento cognitivo. Gli autori raccomandano tuttavia di interpretare questo dato come una ‘associazione’ fra dieta e possibile azione preventiva nello sviluppo di demenza e non come una conclusione certa, essendo lo studio osservazionale e il periodo di follow-up troppo breve, da dimostrare con ricerche più approfondite.
Fonte:
- Charisis S, Ntanasi E, Yannakoulia M, Anastasiou CA, Kosmidis MH, Dardiotis E, Gargalionis AN, Patas K, Chatzipanagiotou S, Mourtzinos I, Tzima K, Hadjigeorgiou G, Sakka P, Kapogiannis D, Scarmeas N. “Diet Inflammatory Index and Dementia Incidence: A Population-Based Study”. Neurology. 2021 Nov 10:10.1212/WNL.0000000000012973. doi: 10.1212/WNL.0000000000012973.