Che impatto può avere la cannabis sul cervello? È la domanda dalla quale è partito un nuovo studio che cercherà di esaminare come la cannabis possa alterare il microbioma orale e, soprattutto, come questo processo possa impattare sui disturbi neurodegenerativi.

Come spiega il suo autore, Wei Jiang, professore di Microbiologia e Immunologia presso la Medical University of South Carolina (MUSC), si tratta di uno studio nato “per caso”. Nel 2018 era volato ad Amsterdam per una conferenza e, durante un tour in barca, venne investito dal fumo di cannabis delle persone sedute. «All’epoca, stavo studiando il microbioma e dopo aver capito che la loro salute orale era influenzata dal fumo, volevo capirlo ulteriormente». Da qui, i suoi studi successivi per stabilire e ricercare in che modo la cannabis alterasse il microbioma orale e la comunità di batteri che vivono nella bocca. Studi che proseguiranno grazie anche ai recenti finanziamenti da parte del National Institute on Drug Abuse (NIDA), che permetteranno a Jiang e al suo team di approfondire non solo questo aspetto, ma anche il relativo impatto sulle malattie neurologiche.

Si tratta, oltretutto, del primo studio che sarà dedicato a questo specifico argomento. Se, nel breve, la cannabis potrebbe ridurre l’ansia, nel lungo termine potrebbe comportare disturbi non solo della memoria, ma anche delle capacità motorie. Senza trascurare che la disbiosi potrebbe consentire ai batteri nocivi di prosperare in bocca e persino entrare nel flusso sanguigno, danneggiando altri organi, come il cervello.

Jiang aveva già dimostrato, in uno studio del 2021, come l’uso frequente di cannabis alteri il microbioma orale. In particolare, con livelli insolitamente elevati del batterio Actinomyces meyeri nei consumatori assidui di cannabis, cosa che non succede tra chi consumi tabacco o cocaina. Infatti, i topi esposti per via orale ad A. meyeri, per sei mesi, hanno mostrato un aumento dell’infiammazione e più proteina beta-amiloide nel cervello. Che, si ritiene, non solo porti alla perdita di memoria, ma potrebbe innescare il morbo di Alzheimer.

Il nuovo finanziamento, quindi, consentirà al team di esplorare i meccanismi alla base del legame tra alti livelli di A. meyeri nel microbioma orale dei consumatori frequenti di cannabis e le malattie neurologiche.

Jiang prevede di esporre i topi a diversi livelli di THC e CBD per determinare i loro effetti sui livelli di A. meyeri nel microbioma orale. “Pensiamo che l’esposizione a lungo termine al THC, ma non al CBD, aumenterà i livelli di A. meyeri nella saliva e porterà a effetti neurologici dannosi nei topi e ci aspettiamo che i deficit legati alla memoria siano associati a livelli maggiori di A. meyeri nei consumatori frequenti di cannabis rispetto ai non utilizzatori”, ha commentato Jiang. Jiang prevede, con lo studio, di gettare le basi per lo sviluppo di terapie mirate al microbioma orale nei consumatori abituali di cannabis con disturbi neurologici.