La fibromialgia è una condizione patologica, cronica e dolorosa, dall’eziologia complessa. Interessando tra l’1% e il 5% della popolazione mondiale, e soprattutto soggetti di sesso femminile, essa si basa su molteplici fattori, inclusi la genetica, l’ambiente e la psicologia. Non mancano, tra le altre cose, correlazioni potenziali alla dieta. Le strategie di trattamento ad oggi applicabili sono per lo più rivolte alla gestione dei sintomi, mentre mancano delle linee guida propriamente condivise. Si fanno strada, nel contesto degli approcci emergenti, alcune applicazioni nutrizionali, tra poco descritte.
Fibromialgia e dieta: i meccanismi target
Gli effetti della dieta sul dolore muscoloscheletrico cronico vengono scrutati da molteplici punti di vista, offrendo vari spunti di interesse. Vediamo, nei punti che seguono, di cosa si tratta.
- Gli aspetti presi in considerazione riguardano, in primis, il profilo metabolomico dei pazienti. Dalle conoscenze attuali sull’argomento, si evince una correlazione tra il dolore neuropatico e muscolare e il disequilibrio del metabolismo aminoacidico. Altri dati riguardano, in secondo luogo, il legame tra una percezione dolorosa anomala e una trasmissione dopaminergica diminuita. Non mancano, infine, evidenze sull’alterazione della neurotrasmissione GABAergica e il suo legame con la fibromialgia. [1]
- La sindrome dolorosa, nel suo carattere cronico, si correla a valori sierici elevati di alcuni mediatori pro-infiammatori. Si evidenziano, nei pazienti con fibromialgia, livelli elevati di interleuchina-6 (IL-6), che possono associarsi ad affaticamento, iperalgesia e depressione. Valori aumentati si evincono anche per l’interleuchina-8 (IL-8), che gioca un ruolo nel dolore dipendente dal sistema nervoso simpatico. [2]
- Viene suggerito, da altri autori, che le alterazioni a carico della popolazione batterica intestinale possano partecipare all’eziopatogenesi della fibromialgia, con un riferimento particolare alla SIBO (Small Intestinal Bacterial Overgrowth). Tale condizione, che è stata diagnosticata in molti pazienti fibromialgici con disturbi del tratto digerente, favorisce la permeabilità intestinale. Quest’ultima, a sua volta, è correlata alla sovrastimolazione immunitaria, all’innesco dell’infiammazione e all’iperalgesia.[3]
Le possibili strategie nutrizionali
Sulla base di tali considerazioni, si evincono alcuni interventi dietetici ad hoc, così come descritti in letteratura.
VLCKD (Very Low-Calorie Ketogenic Diet)
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nutrients [4], l’applicazione di una dieta VLCKD può determinare il miglioramento di vari parametri clinici correlati alla patologia. Il protocollo applicato è uno schema chetogenico (oloproteico), con un apporto calorico di 20 – 35 kcal (per kg di peso corporeo ideale) e un contenuto proteico di 1,4g (di proteine, per kg di peso corporeo ideale). Ricavati soltanto da verdure, i carboidrati hanno rappresentato, nella dieta in oggetto, una quantità trascurabile (circa 10g), mentre la quota di grassi si è collocata tra 45g e 100g totali. I pazienti coinvolti nello studio sono stati sottoposti sia a valutazioni reumatologiche che ad analisi biochimiche, condotte su valori ematici, salivari e urinari. Tutti i dati utili sono stati raccolti prima e dopo l’intervento nutrizionale, che si è protratto per 45 giorni.
Nelle rilevazioni finali, lo studio ha evidenziato, nei soggetti in esame, una riduzione dei sintomi fibromialgici, un maggiore benessere psicologico e la presenza di alcuni cambiamenti metabolomici. Questi riguardano, in particolare:
- il riequilibrio del metabolismo degli aminoacidi;
- l’attenuazione dei processi pro-infiammatori;
- la modulazione della trasmissione dopaminergica e GABAergica;
- l’utilizzo di fonti energetiche alternative per fronteggiare lo stress neuromuscolare.
Nel complesso, i ricercatori ritengono che la dieta applicata abbia sortito effetti sistemici, influenzando diverse vie metaboliche implicate nella fibromialgia.
Dieta Mediterranea
Nell’ambito di uno studio controllato randomizzato, in rapporto 1:1, sono stati reclutati un centinaio di soggetti con diagnosi di fibromialgia. [5] Dei due gruppi risultanti, il primo ha ricevuto una dieta bilanciata generalizzata, mentre il secondo ha seguito uno schema mediterraneo personalizzato. Quest’ultimo è stato adattato alle esigenze nutrizionali soggettive, con l’apporto energetico così suddiviso: 50% da carboidrati complessi, 30% da grassi, 20% da proteine (09g – 1,1g/kg/die). Lo schema ha escluso latticini e uova, ha limitato l’apporto giornaliero di zuccheri semplici e ha incluso un consumo adeguato di fibre (di almeno 20g/die) e acidi grassi polinsaturi (PUFA). Tale regime dietetico, preceduto da un controllo basale, è stato portato avanti per due mesi, e dunque seguito da due follow-up. Per valutare l’intensità del dolore, i livelli di fatica e altri parametri correlati, è stato chiesto ai partecipanti di compilare alcuni questionari appositi (NRS, BPI, MAF, ecc.), cui ha fatto seguito l’analisi statistica. I pazienti che hanno aderito allo schema mediterraneo hanno mostrato, in relazione a molti parametri considerati, dei miglioramenti degni di nota. Nel primo gruppo, che ha seguito lo schema dietetico alternativo, i parametri suddetti sono invece rimasti stabili. Un aspetto importante riguarda la rivisitazione delle abitudini alimentari scorrette, rilevate nei pazienti nella fase di controllo preliminare, e ridotte grazie all’adozione dello schema mediterraneo. Viene dunque enfatizzato, relativamente a quest’ultimo, un apporto ridotto di sostanze pro-infiammatorie, unitamente a proporzioni più equilibrate dei macronutrienti. In conclusione, un’alimentazione improntata allo stile mediterraneo potrebbe favorire il benessere psico-fisico dei soggetti con fibromialgia, riducendo anche il sintomo tipico dell’affaticamento.
Diete a base vegetale
Secondo una revisione della letteratura, l’alimentazione vegetariana e vegana può contrastare l’infiammazione sistemica, associandosi anche a livelli più bassi di proteina C reattiva. [6] Ciò accade negli individui apparentemente sani, gettando le basi di uno strumento preventivo contro le malattie croniche. Tuttavia, l’impatto antinfiammatorio di queste diete ha mostrato anche degli esiti contrastanti, in ragione, verosimilmente, delle caratteristiche composizionali degli alimenti. Per quanto concerne l’utilizzo dell’alimentazione a base vegetale nei pazienti fibromialgici, uno studio osservazionale ne ha valutato gli effetti. [7] Lo schema dietetico utilizzato può definirsi “crudista”, componendosi per lo più di frutta fresca, verdure crude e frutta secca a guscio, ma anche di tuberi, prodotti integrali e olio EVO. Gli alimenti esclusi sono stati, intuibilmente, quelli di origine animale, compresi uova e latticini, così come le fonti di carboidrati raffinati e i grassi vegetali idrogenati. Viene sottolineata, nell’ambito dello studio, un’assunzione importante di beta-carotene, attraverso il consumo giornaliero di succo di carota, così come di altri antiossidanti, quali vitamina C e vitamina E. Più in generale, l’assunzione dei macronutrienti, fibre e micronutrienti si è resa molto diversa rispetto all’apporto nella popolazione generale. I risultati sono dunque derivati da test oggettivi su dolore, flessibilità muscolare e resistenza fisica, ma anche dalla compilazione, a cura dei partecipanti, di alcuni questionari, come il FIQ (Fibromyalgia Impact Questionnaire) e l’SF-36 (36-Item Short Form Health Survey). In definitiva, lo schema dietetico ha determinato una riduzione dei sintomi nella maggior parte dei partecipanti. Alcuni tra gli aspetti migliorati riguardano l’entità del dolore e la flessibilità, ma anche il funzionamento sociale dei pazienti e il loro stato di salute mentale. I ricercatori hanno attribuito tali risultati alla sinergia di molteplici fattori, dove il carattere antinfiammatorio della dieta ha incontrato le implicazioni psicologiche di uno schema semplice e sostenibile.
Dieta Low-FODMAP
Secondo una revisione sistematica della letteratura, la metà dei soggetti con fibromialgia soffre, in parallelo, di un disturbo funzionale a carico del sistema digerente. Spicca, tra le problematiche in questione, la sindrome del colon irritabile (IBS). [8] Tale correlazione viene attribuita alla disfunzione del sistema nervoso autonomo, e dunque al meccanismo della sensibilizzazione centrale, che rappresenterebbe una base patogenetica in comune tra le due condizioni. [9] Fra le altre cose, si pensa che la sensibilizzazione centrale venga supportata dalla disbiosi intestinale, che è molto frequente nella IBS, e che impatterebbe anche sulla fibromialgia mediante l’asse intestino-cervello. [10] Per quanto concerne la dieta low-FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols), si ritiene che un periodo di applicazione di 4-6 settimane sia sufficiente per una riduzione della SIBO, la quale, come anticipato nella parte introduttiva, si è rivelata molto frequente negli individui fibromialgici. [11] Ampiamente utilizzata nei soggetti con IBS, la dieta low-FODMAP si è mostrata utile anche nella gestione della fibromialgia, come si deduce da uno studio longitudinale condotto su 38 pazienti. A tal proposito, l’indagine ha evidenziato, nei partecipanti, non solo effetti positivi in termini di benessere intestinale, ma anche una riduzione del dolore fibromialgico e un miglioramento complessivo della qualità della vita. [12]
Gli effetti dell’integrazione alimentare
L’approccio dietetico può rendersi più completo con un’integrazione alimentare mirata. Non mancano, in effetti, alcuni trattamenti di potenziale efficacia, sebbene non sempre supportati da evidenze definitive. Ecco, per approfondire, alcuni espedienti documentati.
Vitamina D
Alcune ricerche scientifiche hanno confermato il legame, prima soltanto ipotizzato, tra la carenza di vitamina D e il dolore muscoloscheletrico cronico. D’altro canto, un studio randomizzato controllato, eseguito su pazienti fibromialgici, ha mostrato una correlazione significativa tra l’integrazione di colecalciferolo (vitamina D3) e la riduzione del punteggio VAS (Visual Analogue Scale), impiegato per valutare l’intensità del dolore percepito. [13]
In relazione ai meccanismi coinvolti, la vitamina D agirebbe sia regolando le vie infiammatorie, sia impattando sulla sintesi e sul funzionamento dei neurotrasmettitori.
Magnesio
L’importanza del magnesio si evince dai sintomi correlati al suo deficit, e dunque dall’affaticamento e dai dolori muscolari, ma anche dagli stati d’ansia e da una scarsa qualità del sonno. Si tratta, in modo intuibile, di sintomi molto comuni nei pazienti fibromialgici, spesso affetti dalla carenza del minerale. Non a caso, il magnesio è implicato nel rilassamento muscolare e nel blocco di alcuni recettori nervosi. Si colloca, tra questi, il recettore N-metil-d-aspartato (NMDA), la cui inibizione sfavorisce il fenomeno della sensibilizzazione centrale e la percezione del dolore. Uno studio clinico randomizzato, controllato e in doppio cieco, ha dimostrato che l’integrazione di magnesio, nei soggetti con fibromialgia, può ridurre lo stress e la sintomatologia dolorosa. [14] Sono necessari, tuttavia, indagini di più ampio respiro sull’argomento.
Vitamina B12
Interessante, ai fini terapeutici, anche la vitamina B12, la cui somministrazione giornaliera per via orale, nella posologia di 1000 μg per 50 giorni, ha mostrato, in uno studio dedicato, un impatto favorevole sulla gravità della fibromialgia. [15] Nell’insieme, l’azione benefica della vitamina B12 verrebbe mediata dall’inibizione dell’infiammazione, dall’abbassamento della percezione dolorosa e dalla rigenerazione dei nervi danneggiati.
S-adenosil metionina (SAMe)
Tra i componenti bioattivi che hanno mostrato effetti benefici nell’ambito della fibromialgia spicca anche la S-adenosil metionina. Tale sostanza, in effetti, ha mostrato di poter modulare il dolore e ridurre l’infiammazione, ma anche di poter impattare sui processi di metilazione, che nei pazienti con fibromialgia risultano, talvolta, alterati. [16] Degni di nota anche gli effetti di neuroprotezione e sinergia farmacologica, in relazione, quest’ultima, ai trattamenti convenzionali con antidolorifici e antidepressivi.
Probiotici
Tra gli espedienti di potenziale interesse rientrano anche i probiotici, in ragione del forte legame tra fibromialgia, IBS e disequilibri della flora intestinale. Alla luce di tale correlazione, si ritiene che un’integrazione probiotica mirata possa funzionare da agente terapeutico nei pazienti con fibromialgia, modulando l’asse microbiota-intestino-cervello. [17] Restano necessari, tuttavia, ulteriori studi per testare e comprendere la reale efficacia dei ceppi utilizzabili.
Il ruolo cellulare della S-adenosil metionina
Scoperta nel 1952, la S-adenosil metionina è un metabolita presente in tutte le cellule del corpo, dove funge da precursore delle vie di metilazione, aminopropilazione e trans-sulfurazione. Si tratta dell’oggetto ricorrente di ricerche decennali, volte a comprenderne l’importanza per il metabolismo e la fisiologia cellulare. Ad oggi disponibile tra farmaci e integratori alimentari, tale componente viene indirizzato al trattamento di varie condizioni patologiche, quali depressione, osteoartrite e problematiche del fegato. In modo importante, la S-adenosil metionina presenta effetti sovrapponibili a quelli dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Tra le altre cose, essa vanta una notevole tollerabilità, associandosi soltanto raramente alla comparsa di effetti avversi minori, come mal di testa, nausea e gonfiore addominale. Tale aspetto può rendersi favorevole nel contesto dei trattamenti più o meno protratti tempo, così come di una scarsa tolleranza verso le terapie convenzionali. [18]
Fonti
[1] Metabotropic receptors for glutamate and GABA in pain – PubMed
[2] Fibromyalgia and cytokines – PubMed
[3] Implication of intestinal microbiota in the etiopathogenesis of fibromyalgia: A systematic review – PubMed Implication of intestinal microbiota in the etiopathogenesis of fibromyalgia: A systematic review – PubMed
[4] Investigating the Effectiveness of a Carb-Free Oloproteic Diet in Fibromyalgia Treatment – PubMed
[7] Fibromyalgia syndrome improved using a mostly raw vegetarian diet: an observational study – PubMed
[9] Sympathetic nervous system dysfunction in fibromyalgia, chronic fatigue syndrome, irritable bowel syndrome, and interstitial cystitis: a review of case-control studies – PubMed


