Cibi ultra-processati, ad alto contenuto di agenti e additivi chimici, possono essere buoni alla bocca, ma non per le cellule, rappresentando un acceleratore dell’invecchiamento biologico.

Lo dimostrerebbe il Progetto Moli-sani, un ampio studio condotto dall’Irccs Neuromed di Pozzilli (Campobasso) in collaborazione con l’Università LUM di Casamassima, pubblicato su The American Journal of Clinical Nutrition.

Il “potere” dei cibi ultra-processati

Hanno effetti deleteri per l’organismo e poco incide inserirli, per una sorta di effetto compensatorio, in una dieta di buona qualità nutrizionale i cui effetti verrebbero annullati dalla presenza di sostanze nocive: coloranti, conservanti, antiossidanti, anti-agglomeranti, esaltatori di sapidità ed edulcoranti.

Almeno così pare stando ai risultati di uno studio italiano condotto su un ampio campione di partecipanti, oltre 22mila. I dati dimostrerebbero, infatti, che forti, o comunque abituali consumatori di cibi ultra-processati, sottoposti cioè a “trattamenti” di tipo industriale arricchiti da sostanze chimiche, mostrano una età biologicamente più avanzata in termine di deterioramento cellulare, rispetto all’effettiva età cronologica (anagrafica).

Rientrano tra questi cibi i ben noti snack, prodotti da forno o altri alimenti di produzioni industriale, succhi e bibite zuccherate tra le bevande e a sorpresa farebbero parte della lista anche prodotti insospettabili come pane industriale, yogurt alla frutta, alcuni cereali per la colazione o zuppe pronte.

Conclusione cui sono giunti i ricercatori italiani dopo aver utilizzato e analizzato oltre trenta diversi biomarcatori ematici, preziosi indicatori delle condizioni biologiche del nostro corpo, inclusi organi, tessuti e apparati, quindi dell’età biologica rispetto all’età cronologica che riferisce solo alla data di nascita. Dati che sono stati poi incrociati con le informazioni di un questionario alimentare con particolare riferimento al consumo di cibi ultra-processati (UPF).

Il valore e consumo degli UPF è stato definito in base alla classificazione Nova e calcolato come rapporto (rapporto in peso; %) tra UPF (g/giorno) e cibo totale consumato (g/giorno). La qualità della dieta è stata valutata tramite il Mediterranean Diet Score (MDS; da 0 a 9).

Le evidenze

Le premesse sembrerebbero attestare che un elevato consumo di cibi ultra-processati possa danneggiare la bontà della salute, a livello generale, dell’intero organismo, quanto specifico, impattando cioè sulle cellule favorendo il loro invecchiamento precoce.

I meccanismi di questo processo di causa-effetto non sono ancora noti: aspetti su cui indagheranno future ricerche. Vero è che alimenti sottoposti a lavorazioni industriali, non solo sono poveri da punto di vista nutrizionale e poco sani per la presenza di zuccheri, sale e grassi saturi o trans in elevate quantità che ne altera la matrice alimentare, impoverita appunto di nutrienti e fibre.

L’ipotesi è pertanto che gli UPF possano agire negativamente su funzioni fisiologiche, quali il metabolismo del glucosio, ma anche sulla (alterazione della) composizione e funzionalità del microbiota intestinale. Anche i contenitori alimentari, prevalentemente di materiale plastico, possono incrementare la presenza di ulteriori sostanze tossiche trasferite dall’involucro/confezionamento al cibo, quindi all’organismo.

Nuovi paradigmi di valutazione

Gli autori, stante i dati preliminari, invitano da qui e per il futuro a riconsiderare le indicazioni e raccomandazioni alimentari tenendo conto del valore nutrizionale insito nell’alimento in un contesto/processo di lavorazione industriale dei cibi.

«Anche alimenti apparentemente “sani”, infatti, possono essere stati sottoposti a processi di lavorazione che ne alterano le caratteristiche», concludono all’unisono i ricercatori.

Fonte

Esposito S, Gialluisi A, Di Castelnuovo A et al. Ultra-processed food consumption is associated with the acceleration of biological aging in the Moli-sani Study. Am J Clin Nutri, 2024, S0002-9165(24)00813-X. Doi: 10.1016/j.ajcnut.2024.10.006