Le allergie alimentari in ambito perdiatrico sono molto diffuse, tuttavia secondo gli allergologi il fenomeno dovrebbe essere ridimensionato, che attestano la prevalenza più attendibile tra il 0,5% e il 5%, nonostante alcuni studi la stimino addirittura al 20%.
Spiega la dott.ssa Carmen Montera, Allergologa pediatrica segretario del consiglio direttivo AAIITO: “Capita ancora troppo spesso infatti che un bambino venga sottoposto ad una dieta di eliminazione in base al semplice sospetto clinico, ad una positività al prick test, o al valore elevato di IgE specifiche sieriche. Nella pratica clinica, però, il percorso diagnostico-terapeutico specialistico dovrebbe essere avviato solo a fronte di una anamnesi puntuale, evitando il più possibile l’approccio “semplicistico” basato sulla mera esecuzione delle “prove allergiche, seguita dalle successive diete di eliminazione, che risultano il più delle volte inutili.”
“Nelle allergie alimentari dell’età pediatrica conoscere ed attuare le procedure diagnostiche essenziali e darne una corretta interpretazione è una priorità non solo scientifica ma anche etica – osserva il Dott. Antonino Musarra, Specialista allergologo e Past Presidente AAIITO – le decisioni che ne conseguono, infatti, possono influenzare le abitudini e la qualità della vita sia del paziente che dei famigliari, condizionandole in modo sostanziale e per un tempo indeterminato”.
Nei primi anni di vita gli allergeni più comuni – causa del 90% delle allergie – sono latte e uova, nelle successive fasi di crescita grano, arachidi, soia, frutta a guscio, crostacei e pesce.
Tra gli anni ’80 e ’90 era diffusa la convinzione che ritardare l’introduzione di alimenti allergenici nella dieta dei bambini durante i primi mesi di vita fosse il modo migliore al fine di prevenire successive allergie, favorendo la sensibilizzazione agli alimenti allergizzanti. Tale condotta si è dimostrata inutile e spesso dannosa: diverse evidenze, infatti, hanno mostrato che ritardare l’introduzione degli alimenti solidi oltre il 6° mese di vita non previene l’allergia alimentare, ma, anzi, può favorirla. In quest’ottica gioca un ruolo fondamentale l’allattamento al seno, la cui durata ottimale dovrebbe essere prolungata, laddove possibile, almeno per i primi 6 mesi di vita e, in ogni caso, non sospeso durante tutto il periodo dello svezzamento, da iniziare tra il 4° e il 6° mese di vita.
Relativamente all’introduzione del latte vaccino, fino al 2014 veniva suggerita la somministrazione di formule lattee a ridotta allergenicità; oggi anche questa indicazione è messa in discussione, pertanto gli esperti consigliano di ricorrere alle normali formule derivate dal latte vaccino. Rivista anche la posizione circa l’introduzione dell’uovo di gallina, che oggi è consigliato tra il 4° e il 6° mese, mentre in passato veniva indicato di somministrare il tuorlo solo a 6-7 mesi e aspettare l’anno di vita per l’albume. L’unica situazione che richiede una certa prudenza riguarda il bambino affetto da dermatite atopica medio-grave: in questi casi l’introduzione dell’uovo deve essere preceduta da una valutazione allergologica che escluda l’esistenza di una sensibilizzazione verso le proteine dell’uovo, potenzialmente pericolosa al momento dell’assunzione dell’alimento.
Anche per le arachidi l’introduzione precoce può ridurre, secondo gli esperti, il rischio di sviluppare allergie. Tra gli alimenti allergenici è quello che ha raccolto le evidenze maggiori circa l’utilità di una precoce introduzione nella dieta del lattante, al fine di ridurre il rischio di comparsa di allergia. Solo nei nei lattanti “ad alto rischio”, affetti da dermatite atopica grave, allergia all’uovo o entrambe, è raccomandata l’introduzione delle arachidi durante lo svezzamento (tra il 4° e l’11° mese di vita), sotto forma di burro, crema, granulato.
Dal punto di vista terapeutico, è in fase sperimentale la Desensibilizzazione Orale per Alimento (DOPA), una tecnica sperimentale che riesce a indurre la tolleranza alimentare tramite la somministrazione graduale e progressiva di un alimento, partendo da piccole dosi, con l’obiettivo di arrivare a una quantità predeterminata (considerata protettiva) oppure alla dose massima tollerata dal paziente. Oltre a consentire in molti casi di “tollerare” l’alimento sotto altra forma (molti bambini tollerano il latte e l’uovo sotto forma di prodotto da forno, o semplicemente cotti), la DOPA permette di aumentare progressivamente la quantità di alimento tollerata dal bambino. L’importante risultato è un notevole miglioramento della qualità della vita del bambino e della famiglia, in genere spaventati da possibili reazioni causate da assunzioni inconsapevoli di piccole quantità dell’alimento, soprattutto nei momenti della vita quotidiana in cui può mancare la supervisione genitoriale.
Spiega il dott. Giuseppe Pingitore, Allergologo Pediatrico coordinatore regione Lazio AAIITO: “In passato l’unico approccio terapeutico alle allergie alimentari del bambino era l’eliminazione assoluta dell’alimento dalla dieta. In questo modo ”chiarisce“ da una parte si “congela” il problema nel tempo, senza attivare nessuna azione di stimolo alla tolleranza immunologica, d’altra parte si espone il bambino al rischio di gravi reazioni che si potrebbero verificare anche per minime quantità di alimento assunto erroneamente. Oggi, la sfida nel trattamento delle allergie alimentari è rappresentata dalla DOPA, Desensibilizzazione Orale per Alimento, una procedura che consiste nella somministrazione dell’alimento “incriminato” iniziando con dosi molto basse e aumentandone lentamente e progressivamente le quantità; questo tipo di approccio è praticabile, da un’equipe medica esperta solo in un ambiente idoneo ad affrontare eventuali reazioni.”
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