BiTE: anticorpi monoclonali bispecifici. Potrebbe essere questo un efficace approccio nel trattamento di forme di artrite reumatoide avanzate, gravi, refrattarie ad altre terapie gold standard.

È quanto emerge da uno studio italo-tedesco che ha coinvolto l’Università Cattolica/Fondazione Policlinico Gemelli, pubblicato di recente su Nature Medicine.

Le evidenze

BiTE non è una molecola nuova. È stata infatti già impiegata nel trattamento della leucemia linfoblastica acuta dove avrebbe dato risultati di efficacia, agendo come attivatore delle cellule T, facilitandone quindi la soppressione/eliminazione delle cellule B malate, target delle cellule T suppressor.

Forte di questa evidenza ricercatori italo-tedeschi hanno voluto testare l’azione del BiTe in sei pazienti con artrite reumatoide (AR) multiresistente, i quali pertanto hanno ricevuto blinatumomab CD19xCD3 BiTE ad uso compassionevole.

I risultati sono stati positivi: anche a basse dosi, la molecola avrebbe portato alla deplezione delle cellule B e alla concomitante diminuzione delle cellule T, documentando la loro funzione di “engagement”.

Il trattamento, valore aggiunto, si è rivelato sicuro, associato solo a un breve aumento della temperatura corporea e delle proteine in fase acuta durante la prima infusione, ma senza effetti collaterali importanti, come ad esempio segnali di sindrome da rilascio di citochine clinicamente rilevante.

In buona sostanza BiTe avrebbe facilitato l’azione sinergica tra cellule T e cellule B malate, cioè quelle che producono gli anticorpi responsabili dell’infiammazione e della distruzione delle articolazioni, con l’eliminazione di queste ultime.

Le premesse

È ancora presto per trarre conclusioni definitive, visto il numero esiguo di pazienti su cui la sperimentazione è stata condotta, solo sei di cui una italiana e l’impiego di blinatumomab ad uso compassionevole.

Tuttavia vi è l’invito a proseguire con ulteriori studi in funzione dei dati preliminari emersi circa la capacità di questo farmaco immunoterapico. Il quale avrebbe prodotto un rapido declino dell’attività di malattia, riducendo il livello di anticorpi circolanti e migliorando l’infiammazione dei tessuti sinoviali, come documentato da esami molto specifici, quali ecografia, Fapi-Pet-Tac e dall’analisi trascrittomica dell’infiammazione della membrana sinoviale.

Più semplicemente, queste analisi di laboratorio, tra cui la citometria a flusso ad alta dimensione, avrebbero mostrato anche nel caso dell’artrite reumatoide un miglioramento clinico, imputabile a un reset immunitario. Cioè all’eliminazione delle cellule B ‘cattive’, quelle con la memoria ‘attivata’ a produrre continuamente auto-anticorpi, rimpiazzate da cellule B ‘buone’, cellule B naïve. Valore aggiunto del BiTe, l’elevato profilo di tollerabilità.

In conclusione

Dovranno essere condotti ulteriori studi per accertare se questo approccio terapeutico innovativo, possa confermarsi/considerarsi una valida ed efficace opzione nel trattamento di forme di artrite reumatoide avanzate, gravi, refrattarie.

Se tale immunoterapia funziona potenzialmente potrebbe essere applicata anche in altre patologie autoimmuni mediate dalle cellule B farmaco, quali il lupus e la sclerodermia ad esempio.

Il BiTe sfrutterebbe lo stesso principio di azione delle Car-T dove i linfociti T vengono attivati per distruggere i linfociti B auto-reattivi.

Fonte

Bucci L, Hagen M, Rothe T et al. Bispecific T cell engager therapy for refractory rheumatoid arthritis. Nature Medicine, 2024. Doi: 10.1038/s41591-024-02964-1