Devi prescrivere un integratore, ma come fare a sceglierlo? Il numero delle aziende continua ad aumentare (1142 in Italia nel momento in cui scrivo) e così anche il numero di referenze e prodotti disponibili sul mercato (oltre 18 mila, +2000 referenze in 3 anni, di cui la metà di origine vegetale). Scegliere non è difficile, la qualità dovrebbe essere il criterio principale.
“Hai detto poco”, dirai tu, ma come si può fare? Beh vediamo, quali garanzie può avere un integratore di origine vegetale e quali sono le responsabilità che deve avere un produttore.
Responsabile dell’integratore alimentare è chi lo immette sul mercato
Responsabile dell’integratore alimentare è chi lo immette sul mercato. Deve avere in mano tutti i documenti e certificazione che possano garantire la qualità del suo prodotto finito in tutte le fasi. Quando la materia prima è di origine vegetale, il processo per garantire un prodotto di qualità deve interessare tutta la filiera di produzione, a partire dalla coltivazione.
La mancanza di armonizzazione legislativa tra i diversi Paesi, compresi quelli europei, e alcuni buchi normativi hanno spinto le associazioni di categoria a creare delle linee guida di orientamento in tema di qualità delle materie prime.
Ne sono un esempio le linee guida redatte da Assoerbe e quelle di Aiipa IntegratoriItalia, delle quali proponiamo una sintesi per illustrare quali sono i processi di controllo a cui le aziende che fanno parte di queste associazioni sottopongono le materie prime di origine vegetale per garantire prodotti di qualità.
Qualità dal seme alla raccolta
La qualità di una materia prima deriva da un processo di qualità lungo l’intera filiera, a partire dalla coltivazione.
Le linee guida dell’OMS (WHO Guideline 2003, EMEA/CHMP2006) forniscono norme generali per la coltivazione e la raccolta e quindi riguardano un uso corretto di fertilizzanti, pesticidi ecc.
Oltre alla coltivazione è importante seguire anche buone pratiche di raccolta. In questa fase infatti, eventuali errori potrebbero inficiare le caratteristiche chimico-fisiche delle materie prime vegetali. È ad esempio sconsigliabile effettuare la raccolta delle piante in condizioni climatiche con elevata umidità, per evitare la crescita di muffe e la formazione di micotossine. È altresì importante che tutti gli strumenti o macchinari utilizzati per la raccolta delle piante vengano puliti regolarmente così da evitare il rischio di contaminazione con materiale derivante da altri raccolti o detriti di origine diversa.
Controlli post-raccolta
Riguardo a quali controlli sottoporre le materie prime vegetali, la linea guida stilate da Assoerbe e quella pubblicata da Aiipa-IntegratoriItalia suggeriscono di eseguire le seguenti misure di controllo in entrata:
Contaminazioni da corpi estranei, dai sassi a piante diverse
Il materiale post-raccolta deve essere sottoposto ad analisi visive o fisiche volte all’individuazione e rimozione di eventuali corpi estranei: sassi, terra, insetti o parti di essi, frammenti di metallo provenienti dai macchinari agricoli, ecc.
Come corpi estranei possono essere considerate anche piante o frammenti di piante diverse da quella desiderata a causa della coesistenza di più piante nello stesso ambiente o anche parti della stessa pianta.
Test di identificazione
I test di identificazione servono per essere sicuri della pianta o parte di essa che verrà utilizzata nell’integratore alimentare. Non devono esserci dubbi. È una questione di legge: il tipo di piante ammesse negli integratori è definito nell’allegato 1 del DM 10 agosto 2018 pubblicato lo scorso 26 settembre in GU. È una questione di sicurezza. Del problema di effetti collaterali da contaminazioni ho diffusamente parlato nell’articolo Integratori di origine vegetale: per la sicurezza non basta dire “naturale”.
I test di identificazione di una pianta si basano su una combinazione di analisi chimico-fisiche con l’analisi macroscopica e microscopica delle caratteristiche morfologiche delle piante.
CONTROLLO MORFOLOGICO – Il controllo morfologico consente di identificare la droga ed evidenziare eventuali adulterazioni tramite l’osservazione dei caratteri macroscopici e microscopici. L’analisi macroscopica consiste in un esame visivo-odoroso della pianta che consente di individuare le caratteristiche morfologiche quali aspetto, forma e colore e i caratteri organolettici come odore e sapore. L’esame microscopico consente, invece, di identificare i caratteri distintivi dei vari generi e specie attraverso l’analisi approfondita degli organi e dei tessuti della pianta.
CONTROLLO CHIMICO – Il controllo chimico consente di accertare se la droga risponde alle specifiche richieste per la sua identificazione, purezza e titolo prescritto in principi attivi, attraverso l’analisi della composizione quali-quantitativa della pianta. Tecniche come la cromatografia su strato sottile (TLC) o la cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC) consentono di esaminare il fitocomplesso in tutti i suoi componenti (metaboliti) e principi attivi e di individuare eventuali sofisticazioni o adulterazioni della pianta.
La valutazione dell’umidità, ovvero della quantità di acqua residua dopo l’essiccamento, consente di valutare lo stato di conservazione.
L’analisi di riconoscimento botanico di una pianta presenta dei limiti. In caso di materie prime finemente triturate, polverizzate o micronizzate l’analisi microscopica, ad esempio, essa non consente di effettuare l’identificazione della specie né determinare la presenza di specie adulteranti o contaminanti. Attraverso la sola analisi botanica non è, inoltre, possibile distinguere correttamente varietà della stessa specie o determinarne l’origine geografica.
ANALISI DEL DNA – L’analisi di fingerprint del DNA consente infatti di identificare, in modo univoco e riproducibile, il genere, la specie e la varietà della materia prima, anche nel caso in cui questa sia stata processata e, in alcuni casi, anche nel prodotto semilavorato o finito.
L’analisi del DNA permette inoltre di determinare la purezza di un lotto di materia prima e di identificare l’eventuale presenza di adulteranti, ossia l’aggiunta deliberata ed intenzionale alle piante di specie botaniche diverse, talvolta appartenenti allo stesso genere.
Contaminazioni chimiche, dai metalli agli antiparassitari
Le principali fonti di contaminazione chimica sono rappresentate dall’ambiente circostante, dalle pratiche agricole adottate e dai trattamenti post-raccolta.
I contaminanti più comuni includono:
- metalli pesanti,
- micotossine,
- diossine,
- idrocarburi policiclici aromatici,
- radioattività
- residui di antiparassitari.
Alcuni di questi sono regolamentati dalla normativa alimentare europea attraverso limiti massimi su piante o parti di esse. Altri, pur non essendo ancora oggetto di norme specifiche, possono comunque rappresentare motivo di preoccupazione ai fini della sicurezza alimentare.
Contaminazioni microbiologiche
La contaminazione da microrganismi patogeni rappresenta un grave rischio per la salute umana soprattutto quando i terreni di coltivazione vengono trattati con fertilizzanti a base di sottoprodotti animali o irrigati con acque di superficie; anche il tipo di irrigazione può influire sulla carica batterica di una coltura. Contaminazioni possono verificarsi anche durante la raccolta, l’immagazzinamento, il trasporto, l’essiccazione e le successive fasi di lavorazione. Test di routine per la qualità microbiologica relativi a:
- conta batterica totale
- Escherichia coli
- Salmonella spp.
- Enterobatteriacee
- muffe e lieviti.
Ed ora?
Mi auguro che questo articolo ti abbia se non chiarito, almeno aperto un mondo, esattamente quanto a me, sui processi che possono/devono essere messi in atto per garantire un integratore alimentare di qualità. Non vuol dire che non bisogna fidarsi, ma piuttosto saper scegliere e sapere dare il giusto valore.