L’anemia sideropenica è la forma più comune di anemia al mondo e può essere causata tanto da sanguinamenti, quanto da povertà alimentare e problemi intestinali. È noto, per esempio, che i soggetti con morbo di Crohn o celiachia faticano ad assorbire questo metallo, la cui presenza è fondamentale nel corpo per supportare tutta una serie di processi biologici, in primis il trasporto di ossigeno nel sangue.
Un’anemia sideropenica può manifestarsi con stanchezza, tachicardia, indebolimento di unghie e capelli e anche con insonnia, mal di testa e dolore toracico. Quando il ferro è carente, il paziente riceve di solito una integrazione esterna. Un recente studio della Scuola di Medicina della Stanford University (“The impact of iron and heme availability on the healthy human gut microbiome in vivo and in vitro”) suggerisce che questa integrazione possa incidere sul microbiota intestinale, forse riequilibrandolo.
Gli autori del lavoro, pubblicato su Cell Chemical Biology, hanno coinvolto 20 pazienti sani sottoponendoli a integrazione di ferro per 7 giorni, chiedendo loro un campione di feci al giorno a partire da una settimana prima dell’integrazione per finire una settimana dopo. Condotto parallelamente in vitro e in vivo, lo studio mostra cambiamenti nella comunità microbica intestinale legati all’assunzione di ferro.
Come spesso accade in queste situazioni, le modifiche sono differenti da soggetto a soggetto, tuttavia è stato possibile individuare alcune famiglie/ceppi che si modificano maggiormente: si tratta dei batteri della famiglia Lachnospiraceae e dei generi Escherichia e Shigella. Questi ultimi, in particolare, sembrano diminuire in numero, anche se poco. Al contrario, gli autori individuano alcuni batteri che crescono in numero in presenza di ferro: si tratta dei Coprococcus e Bacteroides. Per confermare questi risultati, gli autori hanno condotto anche studi in vitro. I soggetti coinvolti erano sani, non anemici quantomeno.
La domanda che ci si potrebbe fare è come l’integrazione di ferro possa agire su una comunità microbica alterata da carenza di ferro. Per dare una risposta gli autori hanno allestito vari test in vitro, prima per valutare la reazione delle specie commensali intestinali alla riduzione del ferro disponibile e poi per capire cosa accade ripristinando i livelli di ferro. Si vede, allora, che una carenza di ferro può indurre una riduzione fino a 10 volte del numero di batteri appartenenti alle famiglie Lachnospiraceae e Ruminococcaceae. Anche Escherichia e Shigella risultano sensibili alla carenza di ferro, calando in numero, così come molte specie di Bacteroides, in particolare B. caccae, B. thetaiotamicron, B. nordii, B. salyersiae e B. fragilis/ovatus. Queste ultime, in particolare, arrivano quasi a scomparire dalla comunità.
Lo studio rivela però anche una specie che gode della situazione, aumentando in numero quando il ferro è carente: Bacteroides dorei/fragilis. Una volta ripristinati i livelli di ferro, però, Lachnospiraceae e Ruminococcaceae recuperano, attestandosi sul 50%-60% dei valori iniziali. Escherichia e Shigella, invece, recuperano completamente. Con questo metodo misto in vivo/in vitro è possibile studiare in modo approfondito la relazione tra ferro e microbiota intestinale, capendo come strutturare al meglio le terapie per l’anemia sideropenica.
Fonte:
- Celis AI, Relman DA, Huang KC. The impact of iron and heme availability on the healthy human gut microbiome in vivo and in vitro. Cell Chem Biol. 2023 Jan 19;30(1):110-126.e3.