Covid-19, il problema Pcr

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Una questione cruciale, tra gli aspetti controversi del Covid, è la Pcr: a quanti cicli di amplificazione l’esito del tampone è da ritenersi affidabile? Su questo punto, davanti al Tribunale di Roma, si dibatterà una causa collettiva portata avanti da centinaia di persone, tra cui una cinquantina di medici. In giudizio sono citati il Ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità (Iss).

«Non c’è un protocollo: questa è una delle contestazioni che abbiamo mosso – afferma l’avvocato Mauro Sandri – L’Ecdc, a nostra specifica domanda su quale sia idoneo, con risposta agli atti, ha rimandato a uno studio che indica un massimo di 24 cicli. Ogni ciclo in più, dice, determina un errore di circa il 30%. Alcuni laboratori regionali italiani, autorizzati dall’Iss, hanno scritto che amplificavano a oltre 40 cicli. Abbiamo anche una dichiarazione dell’Asl Regione Emilia-Romagna che indica 41 e il Ministero non ha contestato questi dati».

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Secondo l’accusa, l’Italia avrebbe violato non solo i protocolli dell’Ecdc, ma anche quelli dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). «Nel settembre e dicembre 2020, dal monitoraggio, l’Oms ha rilevato che c’erano troppi falsi positivi. A gennaio 2021 ha scritto che la Pcr non è sufficiente come strumento diagnostico se fatta con unico tampone. Pertanto, il test deve essere ripetuto con altro strumento (altra Pcr con marca diversa) sull’asintomatico positivo (che rappresenta il 96% dei casi). L’Oms ha precisato anche che serve una diagnosi medica. Nessuno di questi requisiti è stato rispettato dal nostro Paese».

Cè di più: in una recente raccomandazione, l’Oms ha chiesto un giro di vite sull’uso indiscriminato dei tamponi agli asintomatici. «Il 25 giugno l’Oms ha cambiato i protocolli sui tamponi: ha statuito l’inutilità sugli asintomatici, cui lo screening di massa non è strategia raccomandata, a causa dei costi significativi e della mancanza di dati sulla sua efficacia operativa, dice l’Oms. Tutti gli Stati aderenti dovranno ora adeguarsi». Dulcis in fundo, i kit non sono stati né standardizzati né validati: non esiste un gold standard. «Nel 2020 doveva entrare in vigore la normativa, già approvata, sui tamponi Pcr, che dovevano essere tutti certificati. È stata, invece, prorogata al 2023! Un’anarchia totale, perché vengono certificati dalle case produttrici. Siamo di fronte a una situazione di illegalità e dolosa» conclude l’avvocato.

Il problema, comunque, riguarda in modo particolare i casi che sono borderline nella valutazione e che rappresentano, secondo gli esperti, non più del 4-5% dei casi testati. Nei casi dubbi, dove la positività risulta dopo un numero alto di cicli, sarebbe sufficiente fare un tampone di conferma a distanza di un paio di giorni. Se la positività debole è in fase di risalita si va verso una positività a quel punto confermata; se vira verso la negatività allora sarà semplice poterlo verificare. La stragrande maggioranza dei tamponi non ha comunque bisogno di arrivare ad amplificare oltremodo  i cicli per individuare l’eventuale positività al SARS-CoV-2.

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