La reale efficacia delle campagne vaccinali alle prese con le nuove varianti e la distinzione tra riduzione del rischio relativo e assoluto sono alcuni degli aspetti della pandemia su cui il dibattito è aperto
Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Da qualunque parte si guardi la vicenda Covid, risulta una spaccatura. Prendiamo il caso, oggi centrale, dei “vaccini”. Chi guarda al bicchiere mezzo pieno elogia l’effetto svuotamento di ospedalizzazioni e terapie intensive e diminuzione dei casi. Basti un dato: il 27 dicembre 2020, giorno dalla prima inoculazione in Italia, i ricoverati in terapia intensiva erano 2.580, mentre quelli nei reparti ordinari 23.571. Numeri ben lontani da quelli del 22 agosto 2021 (472 in TI e 3767 i ricoveri).
D’altra parte, c’è chi fa notare che la curva discendente cominciata con la bella stagione ricalca quella del 2020. L’effetto protettivo dei raggi solari viene del resto riconosciuto da diversi virologi. Lo stesso Guido Silvestri, professore ordinario di Patologia generale alla Emory University di Atlanta, ha ricordato che «il negazionismo della stagionalità è non-scientifico, perché la stagionalità dei virus respiratori (compresi i coronavirus umani endemici) nelle regioni a climi temperati è un fenomeno conosciuto da secoli e perfettamente spiegabile da un punto di vista immunologico e virologico».
Poco però si è approfondito dal punto di vista pratico (a cominciare dalle sanificazioni dell’aria in ambienti indoor) su come sfruttare i benefici dei raggi Uv. Uno studio in preprint che ha coinvolto l’Irccs “Don Gnocchi” di Milano, l’Istituto nazionale dei tumori di Milano, l’Ospedale Sacco di Milano e l’Istituto Nazionale di Astrofisica ha dimostrato che non solo i raggi ultravioletti Uv-C, ma anche quelli Uv-A e Uv-B impiegano poche decine di secondi per disattivare SARS-CoV-2.
Ancor meno si è agito sul ruolo di co-fattore delle polveri sottili, pur riconosciuto, innescato principalmente dal riscaldamento domestico (secondo l’ultimo rapporto dell’Oms ogni anno muoiono 7 milioni di persone nel mondo per inquinamento, 90 mila in Italia). Uno studio [1] dell’Università di Harvard è arrivato, per esempio, a stabilire l’incremento di rischio di decesso per Covid del 15% per ogni aumento di 1 µg/m3 di Pm 2,5.
A dispetto di circa 150mila studi pubblicati su Pubmed, molti lati rimangono oscuri, a cominciare dall’origine del virus. Ultimamente, con l’endorsement dell’immunologo della Casa Bianca Anthony Fauci, sta prendendo piede l’ipotesi artificiale, ipotizzata dal virologo Luc Montagnier.
Efficacia relativa e assoluta dei vaccini
Nemmeno sulla reale efficacia dei vaccini appare tutto chiaro. Peter Doshi, sul British Medical Journal [2], aveva avanzato alcuni dubbi di procedura sui vaccini a mRna. Tanto che, secondo il ricercatore, l’efficacia di quello di Pfizer non sarebbe del 95%, ma potrebbe essere in realtà tra il 19 e il 29%. Uno studio pubblicato da Lancet [3] ha fatto poi luce sulla distinzione tra Riduzione del Rischio Relativo (RRR) e Riduzione del Rischio Assoluto (ARR). L’efficacia di un vaccino è generalmente riportata come Riduzione del Rischio Relativo, indice dato dal rapporto tra il numero di casi Covid all’interno del gruppo dei vaccinati e nel gruppo placebo. La Riduzione del Rischio Assoluto indica, invece, il rischio di contrarre il Covid parametrato all’intera popolazione.
L’RRR sarebbe dunque:
- 95% per Pfizer–BioNTech;
- 94% per Moderna–NIH;
- 90% per Sputnik V-Gamaleya;
- 67% per J&J e per AstraZeneca–Oxford.
Tradotto in termini di ARR, però, è tutt’altra cosa:
- 1,3% per AstraZeneca–Oxford;
- 1,2% per Moderna–NIH;
- 1,2% per J&J;
- 0,93% per Sputnik V-Gamaleya;
- 0,84% per Pfizer–BioNTech.
Sull’efficacia delle vaccinazioni si citano gli esempi di Israele e Gran Bretagna. Quello che sta accadendo in Gran Bretagna, però, dimostra che il vaccino contro la variante Delta non garantisce l’immunità da contagio e gli stessi vaccinati possono contagiare quanto i non vaccinati (anche se al momento decessi e ospedalizzazioni rimangono bassi). In Israele, dove è in corso la quarta ondata, la protezione dal contagio di Delta sarebbe scesa mediamente al 39%, e fino al 16% in chi ha avuto il vaccino anti-Covid a gennaio, secondo il ministero della Salute. All’11 agosto, il 61% dei pazienti ricoverati era stato vaccinato con le due dosi. Nel valutare questi dati bisogna però tenere conto del cosiddetto «paradosso di Simpson», che fa si che, essendo la gran parte della popolazione vaccinata, risulti prevalente nei ricoveri la quota dei vaccinati. La quota di ricoverati all’interno del gruppo di vaccinati rappresenta però solo il 5,3% dei vaccinati, contro il 16,4% per i non vaccinati. Questi ultimi, inoltre, sono nel 90.9% dei casi pazienti con età superiore ai 50 anni. Se si considera in aggiunta che l’85% dei non vaccinati è costituita da giovani, mentre il 90% degli anziani sono stati vaccinati (gli over 50 anni hanno un rischio di ricovero 20 volte più alto), si può affermare che i vaccini mantengono un’elevata efficacia (85-95%) rispetto alla malattia Covid grave. Ciononostante, sia in Israele sia in Gran Bretagna e negli Stati Uniti si sta procedendo a effettuare la 3° dose del vaccino, che, nel caso del vaccino Pfizer, ha mostrato un’efficacia dell’86% sugli over 60.
Secondo le stime del governo britannico la “variante indiana”, già dominante in Gran Bretagna e Portogallo, sarebbe tra il 40 e il 60% più trasmissibile rispetto ad Alfa (la variante inglese rispetto al ceppo originario di Wuhan). È destinata, secondo quanto dichiarato dall’Oms e dall’Ecdc, a diventare prevalente in Europa, con il rischio di un circolo vizioso infinito. Basti notare che la banca dati internazionale Gisaid registra ormai oltre 2 milioni di sequenze genomiche di SARS-CoV-2 condivise e il direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano, Fabrizio Pregliasco, ha parlato di circa 700 varianti individuate.
Il recente Report periodico sui decessi per Covid dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) dimostra, comunque, che quasi 99 deceduti su 100 dallo scorso febbraio non avevano fatto o non avevano terminato il ciclo vaccinale. Fra quelli che invece lo avevano completato, si riscontra un’età media più alta e un numero medio di patologie pregresse maggiori rispetto alla media. Sono, infatti, 423 i decessi SARS-CoV-2 positivi in vaccinati con “ciclo vaccinale completo” e rappresentano l’1,2% di tutti i decessi SARS-CoV-2 positivi avvenuti dallo scorso 1 febbraio (totale: 35.776 decessi).
Bibliografia
- Wu, X., Nethery, R. C., Sabath, M. B., Braun, D. and Dominici, F., 2020. “Air pollution and COVID-19 mortality in the United States: Strengths and limitations of an ecological regression analysis”. Science advances, 6(45), p.eabd4049.
- blogs.bmj.com/bmj/2021/01/04/peter-doshi-pfizer-and-modernas-95-effective-vaccines-we-need-more-details-and-the-raw-data/
- Piero Olliaro, Els Torreele, Michel Vaillant, “COVID-19 vaccine efficacy and effectiveness-the elephant (not) in the room”. Comment| volume 2, issue 7, e279-e280, july 01, 2021. doi: https://doi.org/10.1016/S2666-5247(21)00069-0