Intervista a Mariano Bizzarri, professore associato di Patologia clinica presso il dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma, direttore del Systems Biology Group Lab
Nuovi studi scientifici, pubblicati dalle più prestigiose riviste accademiche, stanno cambiando la narrativa del Covid. Mariano Bizzarri, oncologo di grande esperienza, professore associato di Patologia clinica presso il dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma, direttore del Systems Biology Group Lab, è autore di un libro (“Covid-19, un’epidemia da codificare”, Byoblu), che ha fatto il punto, in maniera critica, della situazione.
Escono nuovi studi scientifici, tra cui una metanalisi di Lancet, che certificano come i vaccini abbiano sì efficacia, ma limitata nel tempo.
Sono tanti gli studi pubblicati in questa direzione (per esempio “Risk of infection, hospitalisation, and death up to 9 months after a second dose of COVID-19 vaccine”). C’è addirittura un lavoro dell’Istituto superiore di sanità (“Effectiveness of mRNA vaccines and waning of protection against SARS-CoV-2 infection and severe covid-19 during predominant circulation of the delta variant in Italy”). Sostanzialmente, affermano che i vaccini hanno una capacità di protezione da eventi avversi, ospedalizzazione ed eventi gravi molto elevata, pari all’80%, ma solo nei primi due mesi. Al terzo mese scende mediamente al 50%. Al settimo mese diventa addirittura negativa. Il dato italiano evidenzia che al settimo mese abbiamo -40%, cioè il vaccinato ha circa il 40% di rischio in più di essere infettato.
Sul rischio a carico del sistema immunitario di una terapia genica cui fare ricorso ogni tre-quattro mesi si erano espressi, tra gli altri, anche Antonio Cassone, membro dell’American Academy of Microbiology, e Sergio Abrignani, ex membro del Cts.
Se spingo il sistema immunitario in un’unica direzione, a produrre un’unica proteina che è ormai mutata, il sistema immunitario va in blocco, ovvero si induce una immunodepressione. Altrimenti non si spiega perché la protezione diventa negativa. Gli effetti sono particolarmente evidenti con la tripla vaccinazione, dicono alcuni studi. Dopo tre mesi, chi ha ricevuto il booster sta peggio di chi ha fatto solo due vaccini. Alcuni lavori (“Innate immune suppression by SARS-CoV-2 mRNA vaccinations”) hanno rilevato che in alcuni pazienti il booster compromette la capacità dell’organismo di produrre interferone. Blocca, dunque, un intermediario importante nel modulare una risposta immunitaria efficace.
L’ultimo rapporto Aifa segnala 134 mila casi di reazioni avverse, di cui il 17,8% gravi. Poco sappiamo, però, dei rischi a medio-lungo termine.
Non sono ancora stati eseguiti studi su cancerogenicità, genotossicità, biodisponibilità e farmacocinetica della Spike, di cui non conosciamo che parzialmente il rischio. Oltretutto, non è stata attivata la farmacovigilanza attiva e quella passiva riflette solo l’1% di ciò che succede realmente. Vengono segnalati rischi aumentati, soprattutto sotto i 50 anni, per una serie di patologie, tra cui miocarditi, pericarditi, problemi neurologici. Gli eventi avversi riguardano principalmente i giovani, dove l’impatto del Covid è minimo (l’incidenza è un decesso ogni 100 mila giovani colpiti). Un lavoro pubblicato su Nature (“Increased emergency cardiovascular events among under-40 population in Israel during vaccine rollout and third COVID-19 wave”) ha documentato, in Israele, un aumento del 25% di morti cardiache improvvise miocarditi, nonché patologie cardiache nei giovani su tutta la popolazione. In linea teorica, al di sotto dei 60 anni non ci sarebbe alcuna esigenza di vaccino. Parliamo, poi, di una terapia genica a mRna.
Mancano, inoltre, studi di coagulazione, come ha fatto presente anche il professor Serafino Fazio, che ha evidenziato anomali aumenti del D-dimero a seguito della vaccinazione.
Il D-dimero è un sottoprodotto del consumo di fibrinogeno ed è un marcatore che indica quanta coagulazione avviene. Sarebbe stato opportuno valutare e studiare attentamente tutti i pazienti che soffrono di problemi di coagulazione o ne sono esposti. Per esempio, tutte le donne con alti livelli di estrogeni, oppure che assumono anticoncezionali e/o che seguono trattamenti ormonali. Il vaccino istruisce la produzione della Spike che, interagendo con il recettore Ace, va ad attivare a cascata una serie di reazioni, tra cui la coagulazione. Inizialmente era stato proibito fare le autopsie. Se, invece, le avessimo fatte fin da subito, avremmo capito che il Covid innesca processi coagulativi e malattie autoimmuni; di qui l’importanza di usare il cortisone, che blocca una risposta immunitaria esagerata. Uno degli effetti periferici dell’attivazione alterata del sistema immunitario è proprio l’accentuazione dei fenomeni di coagulazione, che porta a embolie.
Stando ai dati ufficiali, in Italia i deceduti di Covid dopo oltre due anni sono circa 167 mila (meno dei 200 mila decessi di cancro ogni anno e dei 320 mila per malattie cardiovascolari). Quanti sono da attribuirsi effettivamente al Covid?
Il 23% (dato riportato dall’Iss) è dovuto solo al Covid, andando ad analizzare l’eccesso di mortalità. Esiste, però, una variabilità enorme nei diversi Paesi. Una malattia come questa non è una pandemia, ma una sindemia. Assume tratti diversi a seconda del contesto genomico e nutrizionale, per esempio. Riflette, poi, la differenza nei trattamenti. Sarebbe interessante capire perché l’India, che ha fatto meno vaccinazioni, ha un numero di morti di molto inferiore rispetto a quello italiano per milioni di abitanti. In Europa c’è il caso Svezia, Paese che ha la metà dei decessi dell’Italia (295 vs 586 morti su 100 mila) con meno vaccini e senza lockdown. Nel 2020, prima dei vaccini, l’eccesso di mortalità era di 120 mila morti in più rispetto all’anno precedente. L’Istat sostiene che 75 mila sono dovuti al Covid. Gli altri sono dovuti a cause cardiovascolari, tumore e diabete per mancate cure.
C’è poi da considerare il discorso sui tamponi. Un’informativa dei Cdc ha chiesto ai laboratori americani di abbandonare il sistema attuale basato sulla Pcr per sistemi multiplex. Il test molecolare, infatti, confonderebbe il virus Sars-Cov-2 con quello dell’influenza, che si è notevolmente ridimensionata nel nostro Paese.
L’informativa (“Lab Alert: Changes to CDC RT-PCR for SARS-CoV-2 Testing”) arriva dopo un articolo (“Analytical Performance of COVID-19 Detection Methods (RT-PCR)”) dell’Associazione mondiale delle società di patologia clinica, WASPaLM, di cui faccio parte. Abbiamo eseguito un lavoro collettivo che ha coinvolto rappresentanti di tutti i Paesi (esclusi i cinesi, perché da due anni e mezzo non riusciamo più ad avere contatti con loro). Ha permesso di rilevare l’inadeguatezza dei sistemi in uso che sono stati utilizzati come unico marcatore di malattia. È emerso che il tasso dei falsi positivi oscilla tra il 70 e il 90%. Il segnale viene amplificato in maniera esagerata, non si dovrebbe andare oltre i 33 cicli della Pcr. Questo sistema si basava sul riconoscimento congiunto di almeno 3 geni, ma spesso è stato considerato positivo con la semplice presenza di uno. Si è così sovrapposto all’influenza. Il test, in parole semplici, può essere positivo anche in presenza di influenza. Il Cdc ha imposto da novembre 2021 il ritiro del vecchio metodo di analisi ed è stata richiesta l’imposizione di una soglia (cosa che io chiesto per l’Italia, senza avere risposta). Si è poi erroneamente equiparato i positivi con i contagianti. Inoltre, ho messo a punto un test salivare molecolare (che costa solo 1 Euro) che è ben tollerato. Il tampone antigenico ha sì velocizzato i risultati, ma è gravato da un tasso di errori del 50%.
Diversi studi indicano che l’infezione naturale dà una protezione di lunga durata. Lo stesso Brusaferro, in un’audizione al Senato, ha ammesso che è superiore rispetto a quella del vaccino. Per Nature potrebbe essere di “several years”. Chi è guarito in modo naturale, dunque, dovrebbe fare il vaccino?
Nel 2021 sono trascorsi 40 anni dalla mia Laurea. Al primo anno di Medicina si impara che l’immunità naturale conseguita dopo aver vinto e superato una malattia infettiva è superiore a tutto. È come una guerra che uno ha imparato a vincere da solo. Il tasso delle reinfezioni nel corso del primo anno di Covid di persone che si sono infettate e guarite è stato inferiore all’1%. Oggi la percentuale è più alta, meno del 3%, perché c’è una nuova variante, Omicron. Si valuterà tra un anno quanti di coloro che si sono infettati con Omicron si riammalano. Sono stati pubblicati diversi lavori che hanno dimostrato che questi vaccini non fanno sviluppare l’immunità mucosale che dipende dalle IgA, le quali danno il primo stop. Il vaccino sviluppa le IgG, ma non le IgA, ecco perché non protegge dal contagio. L’infezione naturale, invece, attiva tutti i componenti del sistema immunitario.
Continua a tenere banco la questione mascherine, su cui si è detto tutto e il contrario di tutto. C’è un’evidenza scientifica che una nanoparticella possa essere bloccata da questi dispositivi?
La mascherina protegge dal particolato, non necessariamente microbico, questo è indiscusso, ma è misurato in micron. Nel Sud-Est asiatico ne è frequente l’uso, dato l’alto tasso di inquinamento. È utile in sala operatoria e può essere opportuno per il medico in generale, ma nel complesso l’uso delle mascherine produce più danni che benefici in regime di bassa circolazione (come illustrano diversi studi pubblicati dalle maggiori riviste, tra cui il British Medical Journal). Salvo casi particolari, già dall’inizio non c’era indicazione dell’utilità della mascherina (lo stesso Walter Ricciardi, consulente del Ministero della Salute, ne sconsigliava l’uso per tutti, ndr). Quando è stata chiesta evidenza al Ministero della Salute la risposta è stata che non si hanno i dati certi. Può essere una scelta legittima, ma può anche essere un eccesso di protezione.
Si è capito quale può essere l’origine del virus? Tutti all’inizio concordavano sull’origine naturale, dal mercato umido di Wuhan, ma nel tempo si è fatta strada quella della “fuoriuscita” dal laboratorio.
Recentemente sono emersi alcuni elementi fondamentali a supporto. Il primo: il virus che normalmente infetta la popolazione di pipistrelli nelle grotte a 1500 km da Wuhan non ha lo stesso genoma di quello che poi determina il Covid. Dove è avvenuta la modifica? Punto secondo, la via di trasmissione: dato che il pipistrello non può infettare direttamente l’uomo, qual è l’ospite intermedio? Si è parlato di pangolino, addirittura di serpenti, che sono animali a sangue freddo. Terzo: ammesso che sia partito dai pipistrelli, perché non abbiamo trovato lungo i 1.500 km fino a Wuhan casi di malattia? Quarto: sono stati pubblicati lavori scientifici che hanno mostrato tecnicamente quali sono le modifiche introdotte sul genoma del virus, tra cui uno di Giorgio Palù. Quinto: nel 2008 (“Difference in receptor usage between severe acute respiratory syndrome (SARS) coronavirus and SARS-like coronavirus of bat origin”) e nel 2015 i cinesi hanno pubblicato dei lavori, uno dei quali con Peter Daszak, il ricercatore che ha fatto finanziare le ricerche gain of function e ha collaborato con la scienziata Shi Zhengli, dell’Istituto di virologia di Wuhan. Per capire se l’elevata patogenicità della Sars fosse dovuta alla Spike, hanno isolato e trasferito il gene che la codifica in un ceppo non virulento, non patogeno, di un coronavirus. Sono riusciti a renderlo in grado di trasferire la malattia nell’uomo, mentre prima ciò non era possibile. Hanno usato un gene trojan e questo è stato preso dall’Hiv.
Aveva ragione Montagnier quando affermava che il virus è stato creato in laboratorio?
I cinesi, purtroppo, non hanno consentito di condurre una vera ricerca. La prima commissione mandata dall’Oms a investigare, coordinata proprio da Peter Daszak, non ha trovato nulla. L’articolo con cui è stato individuato il virus viene pubblicato il 20 gennaio 2020 su Nature, ma un mese e mezzo prima era già stato pubblicato su una rivista cinese. Il 2 gennaio 2020 un lavoro in inglese scritto da ricercatori cinesi affermava che si avevano già 40 casi di Covid ospedalizzati. Oggi sappiamo che dobbiamo retrocedere la data dell’epidemia ad agosto 2019. Ci sono, poi, altre prove indirette. L’oculista Li Wenliang è stato il primo medico a lanciare l’allarme dell’epidemia Covid-19. Spesso le malattie virali vengono scoperte proprio da oculisti perché vanno a vedere le congiuntiviti ad esse associate. Si era reso conto già da novembre e dicembre 2019 che molti pazienti avevano congiuntiviti, problemi respiratori e polmoniti. È poco probabile che così tante mutazioni si siano potute verificare nell’arco di pochissimo tempo senza passaggi intermedi. La cosa più probabile, magari anche per un errore, è che sia uscito dal laboratorio di Wuhan.
Fonti bibliografiche:
- Nordström P, Ballin M, Nordström A. Risk of infection, hospitalisation, and death up to 9 months after a second dose of COVID-19 vaccine: a retrospective, total population cohort study in Sweden. Lancet. 2022 Feb 26;399(10327):814-823
- Fabiani M, Puopolo M, Morciano C, Spuri M, Spila Alegiani S, Filia A et al.; Italian Integrated Surveillance of covid-19 study group and Italian covid-19 Vaccines Registry group. Effectiveness of mRNA vaccines and waning of protection against SARS-CoV-2 infection and severe covid-19 during predominant circulation of the delta variant in Italy: retrospective cohort study. BMJ. 2022 Feb 10;376:e069052
- Seneff S, Nigh G, Kyriakopoulos AM, McCullough PA. Innate immune suppression by SARS-CoV-2 mRNA vaccinations: The role of G-quadruplexes, exosomes, and MicroRNAs. Food Chem Toxicol. 2022 Jun;164:113008
- Sun, C.L.F., Jaffe, E. & Levi, R. Increased emergency cardiovascular events among under-40 population in Israel during vaccine rollout and third COVID-19 wave. Sci Rep 12, 6978 (2022).
- Ren W, Qu X, Li W, Han Z, Yu M, Zhou P, Zhang SY, Wang LF, Deng H, Shi Z. Difference in receptor usage between severe acute respiratory syndrome (SARS) coronavirus and SARS-like coronavirus of bat origin. J Virol. 2008 Feb;82(4):1899-907.