La trasmissione
Non necessariamente la PKU si eredita. Il difetto, infatti, ha una trasmissione autosomica recessiva, ciò significa che entrambi i genitori devono essere portatori della malattia per poterla trasmettere ai figli, con una probabilità del 25%. Esistono numerose mutazioni in grado di determinare la patologia: per effetto di questa ampia variabilità, i quadri clinici e biochimici associati possono essere molteplici e numerosi. Oggi più facilmente identificabili: una svolta importante è arrivata nel 1992 quando, in Italia, la PKU è stata inserita nello screening neonatale obbligatorio, consentendo importanti passi avanti nella diagnosi precoce della malattia e dunque l’avvio dei pazienti a un corretto percorso di cura. Sono ancora molte le persone, nate prima di questa data ad aver ricevuto una diagnosi e una dieta tardiva, soffrendo pertanto di difficoltà cognitive al pari di chi pur diagnosticato dalla nascita non segue il regime ipoproteico necessario.
Le linee guida europee raccomandano il mantenimento dei valori di Phe in un range di 120-360 µmol/L per bambini fino a 12 anni e donne gestanti, tra 120-600 per pazienti adulti, tuttavia già a partire dai 13 anni si registra un mancato rispetto delle soglie raccomandate dalle linee guida statunitensi da parte del 50% dei pazienti tra 13 e 17 anni, del 62% tra 18 e 29 anni, del 71% di età pari o superiore ai 30 anni, del 23% di gestanti/donne che pianificano una gravidanza.
Le conoscenze dei pazienti
Ad oggi, le opportunità di trattamento sono diverse, eppure solo il 25% dei pazienti e dei caregiver dichiara di esserne a conoscenza. Lo ha attestato una survey quali-quantitativa realizzata con il supporto di BioMarin, commissionata a IXE, condotta su 85 pazienti con PKU e 156 caregiver in caso di minori di 16 anni che ha voluto indagare il percepito sulla malattia, i bisogni e aspettative dei pazienti, tramite un apposito questionario messo a punto dalla dottoressa Rovelli in collaborazione con la dottoressa Annamaria Dicintio, psicologa clinica e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, promosso online in estate con l’aiuto anche di alcune associazioni pazienti: Cometa A.S.M.M.E. (Associazione Studio malattie metaboliche Ereditarie), Aismme APS (Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie), Iris (Associazione Siciliana Malattie Metaboliche Rare Odv), Associazione A.ME.GE.P. Domenico Campanella Odv, Associazione Cometa Emilia Romagna Odv, Associazione AMMeC Firenze.
L’indagine ha fatto rilevare, oltre alla forte attesa di una terapia in grado di alleggerire il peso della condizione, il desiderio della diversificazione degli approcci terapeutici funzionale alle fasce di età e agli interlocutori (pazienti e famiglie), ma anche il bisogno di maggiori informazioni sulla malattia calata nella quotidianità (lavoro, sport, tempo libero, vacanze, desiderio di gravidanza) e la necessità di un supporto psicologico.
Approccio per età
A ciascun paziente va riservato il giusto approccio, adeguato all’età. «A Padova – dichiara la dottoressa Chiara Cazzorla, psicologa e psicoterapeuta UOC Malattie Metaboliche Ereditarie, Centro Regionale Screening Neonatale Metabolico Allargato, Azienda Ospedaliera di Padova – spieghiamo la malattia ai bambini fin dalla scuola dell’infanzia e per farlo utilizziamo dei Power Point che hanno per esempio come protagonisti personaggi di cartoni animati noti, i quali illustrano ad altri personaggi che cos’è la PKU e in che cosa consiste la dieta, inserendo nelle presentazioni le immagini dei prodotti speciali cosicché entrino nella quotidianità dei bambini. Poi consegniamo loro la chiavetta cosicché possano mostrare la lora “storia” ai nonni, alle maestre o anche agli amichetti. Abbiamo notato, infatti, che una volta che il bambino ha spiegato ai compagni che cos’è la PKU la curiosità scema, tutto rientra nella normalità ed essi non vengono additati come “diversi”.
Con gli adolescenti ricorriamo a un approccio più da adulto: organizziamo dei peer-group in cui gli adolescenti affrontano con i coetanei le problematiche in maniera potenziale, favorendo così uno scambio di strategie, particolarmente utili per gestire l’aderenza alla terapia anche fuori casa. Ricevere informazioni e consigli dai pari ha molto più successo rispetto a quanto detto dal genitore o dal medico. Mentre i pazienti adulti hanno bisogno di un approccio che li porti alla consapevolezza entro uno spazio empatico di ascolto».
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