Gabriella D’Amico: l’agopuntura nella mia esperienza ospedaliera

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Gabriella D’Amico

Abruzzese di origine, ma nata a Rosate, in provincia di Milano, Gabriella D’Amico ha studiato Medicina a Genova, per poi specializzarsi in Anestesia e Rianimazione all’Università degli Studi di Pavia. Ma la sua vera passione, nata nel corso degli studi universitari, è l’agopuntura, disciplina di cui ha iniziato ad interessarsi, dice, per due ragioni. Innanzitutto, perché, come medico ed anestesista, sin da subito, aveva sentito la necessità di percorrere strade alternative a quelle consuete per alleviare il dolore nei pazienti, uno dei sintomi a cui l’anestesista si dedica in modo particolare, sia in ambito post-chirurgico, sia in quello della rianimazione. Poi, perché, all’epoca in cui studiava e muoveva i primi passi nelle sale operatorie, il suo maestro di anestesia e rianimazione, Umberto Crescenzi, scomparso recentemente, era solito intrattenersi con gli studenti a parlare proprio di agopuntura, arte medica che conosceva bene e praticava. Incuriosita ed affascinata da questa disciplina, D’Amico, dopo avere letto un libro che il suo maestro le regalò, decise di iscriversi ad un corso per approfondire le nozioni apprese. Così, insieme alla scuola di specializzazione, frequentò anche il corso biennale in Agopuntura e Riflessoterapia diretto dal Professor Carlo Cazzullo, presso l’Istituto di Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Milano. “Fu un’esperienza unica e scientificamente irripetibile”, dice D’Amico nel ricordare quegli anni e in modo particolare Mario Tiengo, responsabile del reparto di Terapia del dolore dove svolse il tirocinio pratico. Rimase affascinata da quell’esperienza, ma anche dal fatto che l’agopuntura in quel conteso potesse essere somministrata ai pazienti attraverso il Servizio sanitario nazionale. Proprio quello che è riuscita a realizzare pochi anni più tardi D’Amico all’interno dell’Asl di Alessandria, dove operava come anestesista rianimatore e dove ha dato vita ad un ambulatorio di terapia del dolore incentrato sull’agopuntura che esercita anche nell’Hospice “Il Gelso” di cui è divenuta nel frattempo dirigente responsabile.

Dottoressa D’Amico, cosa ricorda degli anni d’esordio dell’agopuntura all’Asl di Alessandria?
Ricordo che avevo chiesto consiglio al Dottor Tiengo che, prima di me, in Lombardia aveva attivato questo servizio, cosa che oggi non sarebbe più possibile fare per una serie di limitazioni imposte dagli statuti autonomi regionali. Allora, eravamo alla metà degli anni ’80, dovendo fare i conti con il mio lavoro in ospedale, cominciai a praticare l’agopuntura nei ritagli di tempo, dopo la notte o il turno in sala operatoria, in modo da non inficiare la mia professione. Ho il ricordo di questi primi pazienti che arrivavano dopo aver prenotato la seduta al CUP e del mio desiderio di fare bella figura, e devo dire che il rapporto con alcuni di loro continua da quell’epoca, anche perché i primi trattamenti li abbiamo eseguiti su persone giovani che soffrivano di cefalee.

Il dolore è stato un buon “pretesto” per proporre l’agopuntura?
La possibilità di dare sollievo ai pazienti affetti da dolore, in particolare da quello cronico, un sintomo che condiziona in modo significativo la vita del soggetto che ne è affetto, anche nei suoi rapporti familiari e sociali, di poterlo controllare senza l’impiego di farmaci, ha rappresentato certamente un vantaggio. Per debellare il dolore, un’emozione sensoriale difficilmente misurabile e comunque sempre legata alla soggettività, il paziente, dopo avere percorso la strada maestra, al di là di scelte personali che a volte fanno precorrere i tempi, di solito arriva all’agopuntura. Ma, a favore dello sviluppo di questa disciplina all’interno del nostro ospedale, credo abbia giocato un ruolo importante anche il fatto di poterne beneficiare in un luogo pubblico, di ricevere i trattamenti dalle mani esperte e certificate di chi, oltre a praticare la medicina occidentale, ha competenze anche nell’agopuntura. Questo, insieme all’impiego degli aghi sterili monouso, non sempre adottati negli studi privati, dove gli aghi vengono però ovviamente sterilizzati, ha dato molta sicurezza al paziente, facendo sì che il servizio si sviluppasse negli anni.

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