L’importanza del microbiota intestinale è ormai ben nota e sembra che la ricerca si stia orientando sempre più verso il trapianto di microbiota fecale per correggere eventuali condizioni di disbiosi. Ad oggi questo tipo di trapianto è approvato solo per un’infezione particolarmente resistente agli antibiotici, ma numerosi sono gli studi in corso per valutarne l’efficacia in un’ampia gamma di patologie. Il tema è stato discusso in occasione del Convegno Monotematico SIF, tenutosi a Firenze 16 e 17 febbraio scorsi
Nel trattamento delle patologie intestinali, il trapianto di microbiota sembra profilarsi come un utile strumento sia per trattare la malattia sia per ridurre il dolore, bersagli a oggi difficilmente raggiunti dalle terapie disponibili, il tutto all’interno di un approccio terapeutico sempre più personalizzato.
Il trapianto di microbiota fecale (Fecal Microbiota Transplantation, FMT), costituisce una pratica medica finalizzata a ristabilire una condizione di simbiosi fra microbiota e ospite, andando ad isolare e purificare il microbiota del donatore sano a partire dalle sue feci, per poi trasferirlo al paziente al fine di correggere la condizione di disbiosi di cui è affetto.
Le nuove promettenti prospettive del trapianto
Questa tipologia di trapianto risulta attualmente approvata esclusivamente nell’infezione di un batterio particolarmente resistente alla terapia antibiotica, il Clostridium difficile; sono tuttavia in corso numerosi studi per la valutazione della sua efficacia in un’ampia gamma di patologie, ben oltre l’area gastroenterologica.
«I risultati, sebbene preliminari, degli studi condotti sino ad oggi suggeriscono una possibile utilità del trapianto di microbiota fecale nelle infezioni multi-resistenti, nel caso di malattie gastrointestinali, disturbi metabolici, patologie neurologiche e tumori» ha dichiarato il professor Lorenzo Di Cesare Mannelli dell’Università di Firenze, in occasione del Convegno Monotematico della Società Italiana di Farmacologia (SIF), dal titolo “Nuove strategie terapeutiche per il trattamento delle patologie algiche intestinali”, tenutosi a Firenze il 16 e 17 febbraio scorsi.
«Tuttavia, le prove di efficacia e sicurezza disponibili – ha precisato il professor Di Cesare Mannelli – sono ancora limitate e richiedono ulteriori approfondimenti, prima di poter formulare raccomandazioni circa l’utilizzo del trapianto fecale in contesti diversi rispetto all’infezione da Clostridium difficile. Negli ultimi anni gli studi sul trapianto fecale sono aumentati rapidamente, restituendo risultati promettenti, sebbene variabili. La ricerca è ancora agli inizi e diverse sono le questioni da chiarire».
Trapianto e punti ancora da chiarire
Nonostante le prospettive promettenti, diverse rimangono le criticità: dalla definizione della procedura migliore per l’esecuzione del trapianto fino alla selezione delle caratteristiche del microbiota ottimale da considerare nella valutazione dei donatori.
Il trapianto avviene in genere per via rettale, tramite colonscopia; in alternativa è possibile utilizzare il clistere, un sondino naso-gastrico o delle capsule gastroresistenti. L’incognita maggiore, in tutte e 4 le procedure, riguarda il livello di attecchimento dei microrganismi trapiantati, elemento questo influenzato da numerosi fattori: dieta, farmaci o presenza di altre patologie. L’attecchimento risulta infatti maggiore nei pazienti con malattie infettive, che presentano uno squilibrio del microbiota più semplice da trattare rispetto a chi soffre di patologie croniche, associate a condizioni di disbiosi più complesse e consolidate.
L’utilità dell’Intelligenza Artificiale nell’individuazione del microbiota ottimale
In merito alle caratteristiche ottimali del microbiota da trapiantare, un supporto arriva dall’intelligenza artificiale. «La prospettiva futura è quella di ottimizzare la procedura del trapianto in base al problema che deve essere affrontato e, quindi, mirare ad una terapia cucita su misura per ciascuna patologia e per ogni paziente. Oggi, grazie all’intelligenza artificiale, è possibile predire con accuratezza la composizione del microbiota del ricevente dopo il trapianto. Questo nuovo strumento potrebbe portare all’identificazione di ‘super-donatori’ da cui partire per massimizzare la riuscita dell’intervento, la quale è strettamente correlata alla ‘bontà del microbiota’ che attecchisce post-trapianto» ha concluso il Professor Di Cesare Mannelli.
Chiarire questi aspetti consentirà di addivenire a procedure maggiormente standardizzate ed efficaci, riducendo la variabilità di risposta nei pazienti e ampliando l’utilizzo del trapianto fecale, procedura sicura e ben tollerata, ad un’ampia gamma di patologie.