Ambiente, sonno e plasticità neurale: uno stretto legame unisce questi tre fattori. Recenti studi di letteratura hanno dimostrato che un contesto di vita ricco di stimolazioni cognitive, emotive, di attività motorie, di gioco e di nterazioni sociali contribuisce a favorire la plasticità neurale, quindi a rendere il sistema più recettivo e a promuovere la formazione di nuovi neuroni.
«Un ambiente arricchito – spiega Angelo Gemignani, professore ordinario di Psicobiologia e Psicologia Fisiologica, Università degli Studi di Pisa, nel corso della relazione “Ambiente, sonno e plasticità neurale: approcci innovativi per il trattamento dell’insonnia” durante il Symposium Medicina dei sistemi, Modelli di integrazione nella prassi clinica e nuove soluzioni terapeutiche: prevenzione
e terapie del futuro (Milano, 18 Maggio 2024), genera una serie di cambiamenti morfologici positivi, fondamentali per il recupero di eventuali lesioni future, ma anche neurobiologici che migliorano le componenti cognitive e soprattutto la capacità di controllo emotivo.
Cambiamenti che si riflettono, tutti, su un aumentato senso di benessere, ovvero sulla riduzione di stress percepito, ansia e depressione». Come a dire che tanto più il cervello è plastico, quanto più l’organismo sembra vivere in uno stato di quintessenza.
Alcune molecole contribuisco al raggiungimento di questo “stato dell’arte”: «Ad esempio il BDNF (Brain-derived neurotrophic factor, Fattore Neutrofico Cerebrale) – prosegue Geminiani – una sostanza endogena che favorisce la plasticità di diversi organi e apparati, dal cardiovascolare ai tessuti, al cervello. Il BDNF svolge un ruolo fondamentale nei processi di sinaptogenesi, dendritogenersi e neurogenesi, agendo in sinergia con un’altra importante attività cerebrale: la Long Term Potentiation». Quest’ultima permette di generare cambiamenti strutturali delle sinapsi e quindi del nostro cervello, dinamicamente in evoluzione, svegliandosi al mattino con determinate caratteristiche e contenuti per ritrovarsi alla sera con una “plasticità” modificata dalle esperienze e sollecitazioni quotidiane ricevute e vissute.
Vale a dire, la plasticità neurale correla anche con il sonno dove il legame è rappresentato dall’assenza di coscienza: un fenomeno che si verifica solo durante il sonno quando il dialogo tra i diversi moduli cerebrali, specie in determinate aree cerebrali, tra cui la Hot Zone, la zona calda corticale posteriore, cessa e con esso la cascata di informazioni integrate nel cervello, quindi inducendo uno stato di assenza di coscienza.
«Tale processo – prosegue il professore – sembra favorito dalla bistabilità corticale che si verifica tipicamente nel sonno profondo, in cui le “correnti
elettriche” oscillano in maniera differente, originando nel tempo fenomeni cellulari specifici. Ad esempio, esperimenti su topi evidenziano che l’iniezione locale di BDNF a livello cerebrale determina un incremento dell’attività lenta che sembra associarsi a uno stato di assenza di coscienza, mentre studi recenti sull’uomo evidenziano una bistabilità trifasica, dove le onde evocabili dall’ambiente, specificatamente da stimoli acustici, visivi e tattili, sembrano essere un prodotto generato dall’autorganizzazione interna delle complessità
cerebrale e dall’interazione con il mondo esterno.
In particolare alcune ultime ricerche mostrano una alterazione dei ritmi, ovvero un incremento significativo delle oscillazioni lente del sonno e soprattutto delle attività rapide ad esse correlate in soggetti che hanno acquisito stimoli ambientali, rispetto a soggetti meno/affatto ricettivi. Pertanto è possibile supporre che la complessità del “sistema sonno” sia governata da almeno tre fattori: arricchimento ambientale, plasticità neurale e Eustress, generato da una reazione sana (sensazioni emotive positive) a specifici stimoli, fondamentale per indurre plasticità, correla a uno stato di benessere.
Tali dinamiche interattive accadono anche durante il sonno contribuendo al concetto di “stare bene”». Stato che non si verificherebbe in caso di “impoverimento” ambientale, quando l’eustress si trasforma in stress cronico, promuovendo una plasticità patoplastica, una plasticità negativa. Aspetti di cui
risente anche il sonno, sempre più disturbato, fino alla vera e propria insonnia, contropolare allo stato di benessere.
«Recenti studi condotti in soggetti in isolamento spaziale e sociale – continua Gemignani – mostrano una sensibile variazione dei pattern del sonno con scomparsa dell’oscillazione lenta, essenziale per raggiungere l’assenza di coscienza, quindi la plasticità neurale, una alterazione dell’attività del BDNF,
un incremento dei livelli di infiammazione e, non ultimo, una alterazione del sonno REM. Tutte caratteristiche del sonno rilevabili anche in soggetti affetti da varie forme di depressione».
In conclusione, le ultime evidenze di letteratura farebbero ipotizzare che l’oscillazione lenta del sonno sia legata a fenomeni di plasticità correlata a specifiche circuterie del cervello, ad esempio quelle deputate alla detossificazione dei circuiti dalla betamiloide, che interviene in processi di
neuroinfiammazione. Quando l’oscillazione lenta salta a causa di fattori contingenti, come l’aumento di meccanismi di arousal che eccitano i circuiti cerebrali, l’assenza di coscienza, non viene raggiunta, con quanto ne consegue: riduzione della capacità di generare pattern sinaptici e di complessità che favoriscano l’“arricchimento” delle funzioni cognitive, alterazioni della memoria e della capacità di attenzione, alterazioni del controllo emotivo.
Tutti aspetti che correlano con la sintomatologia della insonnia cronica, quanto con la depressione. Per cui è possibile stimare un parallelismo tra queste due condizioni». Quali, allora, gli strumenti e le misure per intervenire con efficacia sull’insonnia? Aumentare la qualità della vita, specificatamente dell’ambiente, favorire il gioco specie nei bambini insonni, potenziare le dinamiche relazionali, fare attività fisica costante, agire sulla plasticità neurale con attività impattanti a livello cognitivo ed emotivo, tra cui l’arte, e intervenire con approcci farmacologici, sebbene ad oggi esistano terapie che agiscono solo in maniera
indiretta, non specifica sul sonno. «Tra le più efficaci – conclude Gemignani – il BDNF che può agire positivamente sull’oscillazione lenta del sonno».