La vitamina D potrebbe rappresentare una “risorsa” nel trattamento della neuropatia periferica indotta dalla chemioterapia, evento diffuso e comune tra i pazienti oncologici, ma anche tra i più difficili da trattare.

Studi di Real Word e di laboratorio sembrerebbero attribuire alla Vitamina D la capacità di contrastare il dolore neuropatico. Una prima evidenza, che se confermata da ulteriori indagini, potrebbe aiutare a sopperire importanti unmet needs farmacologici. Il lavoro di ricerca, americano dell’Università del Michigan, è pubblicato sul Journal of the National Comprehensive Cancer Network.

Le implicazioni

La neuropatia periferica indotta dalla chemioterapia (CIPN) è di difficile trattamento: poche le opzioni terapeutiche, tra queste la duloxetina, comunque di scarsa/limitata efficacia, e che non offrono strategie a lungo termine per la prevenzione o la neutralizzazione di questo effetto collaterale dall’elevato impatto sulla qualità della vita, con ripercussioni che possono perdurare anche nel post-trattamento, e dai numeri sono importanti.

La CIPN colpisce, infatti, fino al 70% dei pazienti trattati con paclitaxel e circa il 30% manifesta sintomi gravi, con esiti come detto persistenti anche per anni, che in caso di CIPN moderata o grave possono richiedere modifiche del trattamento che riducono l’efficacia e la sopravvivenza del paziente. Pertanto, la ricerca indaga su nuove soluzioni e fra le opzioni possibili emerge l’azione della Vitamina D che se confermata potrebbe dare un contributo molto significativo, sia in termini di efficacia che di sostenibilità, essendo estremamente economica e alla portata di chiunque.

Le evidenze

Precedenti ricerche hanno identificato fattori di rischio non modificabili per la CIPN, come età, razza e genetica, e fattori di rischio potenzialmente modificabili, anche se non facilmente modificabili, come diabete, stile di vita sedentario ed elevata esposizione sistemica al paclitaxel.

Diversi studi retrospettivi sembrerebbero associare un rischio di CIPN più elevato a pazienti con concentrazioni di vitamina D pretrattamento inferiori, pertanto la convalida di insufficienti livelli come fattore di rischio di CIPN è un primo passo fondamentale verso lo sviluppo di strategie di intervento preventivo, finalizzato al mantenimento del regime chemioterapico e a migliorare i risultati clinici.

Con questo obiettivo i ricercatori americani hanno condotto un’analisi prospettica-retrospettiva su campioni di poco meno di 1.200 donne, con carcinoma mammario in fase iniziale che ricevevano paclitaxel abbinato a ciclofosfamide, doxorubicina, che avevano preso parte a uno studio clinico di fase III (lo SWOG S0221) sulla chemioterapia adiuvante. Mettendo in relazione l’evento CIPN con il regime chemioterapico seguito, è stato possibile osservare che il 20,7% delle pazienti che, all’inizio dello studio, avevano livello bassi di vitamina D nel sangue, sperimentavano una neuropatia di grado 3, contro il 14,2% di coloro che, invece, ne avevano quantità sufficienti.

Per confermare la relazione tra questi due fattori, ovvero la carenza di vitamina D e l’insorgere della neuropatia, anche a livello sperimentale, i ricercatori hanno somministrato la stessa tipologia di farmaci in dosi comparabili a modelli animali per indurre una carenza di vitamina D, rilevando così danni ai nervi più gravi rispetto agli animali di controllo.

Lo sviluppo futuro

I dati emersi invitano ad avviare sperimentazioni dedicate in cui valutare gli effetti della somministrazione di vitamina D in soggetti con carenza e riduzione del rischio di CIPN. Pertanto, qualora i risultati di un trial così strutturato dovessero confermare i dati dello SWOG S0221, una strategia di prevenzione potrebbe essere legata alla somministrazione pretrattamento chemioterapico di dosaggi stabiliti di vitamina D, con gli aggiustamenti necessari.

Una “soluzione” a basso costo di cui potrebbe avvantaggiarsi l’intera popolazione, anche le fasce più disagiate come è emerso dallo studio SWOG S0221 in cui la maggiore incidenza di neuropatia e i minori livelli di vitamina D sono stati rilevati in donne afroamericane che, mediamente, negli Stati Uniti, hanno maggiori difficoltà di accesso ai servizi medici e di prevenzione, e minore livello di istruzione. Altresì gli esami per il controllo del livello di vitamina D e di eventuali supplementi sarebbero più facilmente accessibili a tutti.

Fonte: Chen C-S, Zirpoli G, Barlow EW et al. Vitamin D Insufficiency as a Risk Factor for Paclitaxel-Induced Peripheral Neuropathy in SWOG S0221. Journal of the National Comprehensive Cancer Network, 2023, Vol. 21, Issue 11.