Non più una medicina di attesa ma una medicina di iniziativa, che si basi sull’educazione consapevole del cittadino, prima ancora che paziente, alla prevenzione in salute e una presa in carico più “proattiva” dei pazienti cronici. Non più un sistema salute a silos, ma integrato sul territorio in cui medici e farmacisti, ospedali e istituzioni, decisori e terzo settore facciano alleanza per promuovere salute. Un modello assistenziale che costruisca percorsi codificati e condivisi con i cittadini e preveda strutture intermedie, quali le Case della Comunità e ospedali di prossimità, nel rispetto delle opportunità offerte dal PNRR. Omogeneità di accesso alle cure, anche innovative, ai pazienti su tutto il territorio nazionale. Promuovere l’attenzione alla salute del cuore (e non solo).
È questa la richiesta emersa nel corso dell’evento “Nuove strategie di prevenzione cardiovascolare nel post-pandemia: la sfida parte dal territorio”, organizzato da Novartis Italia e patrocinato da Health City Institute, dalle società scientifiche – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO), Società Italiana di Cardiologia (SIC), Società Italiana per la prevenzione cardiovascolare (SIPREC), Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi (SISA), dalle associazioni pazienti – Associazione Italiana Scompensati Cardiaci (AISC), Fondazione Italiana per il Cuore e GIP-FH – Gruppo Italiano Pazienti per l’Ipercolesterolemia Familiare, Cittadinanzattiva – e dal settore privato per rispondere in maniera fattiva al contenimento della patologia sclerotica e cardiovascolare, cresciuta in maniera esponenziale durante e nel post-pandemia da Covid 19, complice il ritardo diagnostico e la mancata ‘aderenza’ a programmi di screening e visite specialistiche.
I numeri del fenomeno
Attività chirurgica calata tra 50 e 85%, interventi di cardiochirurgia ridotti del 55%, ecocardiogrammi trans esofagei e diagnostiche per cardiopatia ischemica diminuiti del 75%, 10% di nuove diagnosi di scompenso cardiaco e 30% di visite specialistiche in meno nell’ultimo anno e mezzo con un impatto maggiorato del 20% sulla mortalità cardiovascolare e generale. Numeri che oggi causano in Italia 230 mila morti l’anno, il 35% circa del totale dei decessi e una spesa sanitaria di circa 16 miliardi di euro, più oltre 5 miliardi di euro per costi indiretti come la perdita di produttività e e che secondo gli esperti si tradurranno nel 2030 in 24 milioni di morti all’anno nel mondo per patologie cardiovascolari (CVC), pari a circa 66.000 decessi al giorno.
I maggiori impatti sono attesi per lo scompenso cardiaco, prima causa di ricovero in Italia fra gli over 65 con tassi di mortalità elevatissimi (fino al 30% dal primo ricovero), e l’ipercolesterolemia, fattore eziopatologico per CVC, contrastabile con la rimozione di fumo, regolare pratica fisica e dieta sana, controllo del peso. La prevenzione delle malattie non trasmissibili, comprese le CVC, deve cominciare dalla giovane età e dalle aree urbane, bacino di maggiori livelli di urbanizzazione, invecchiamento della popolazione e stili di vita meno sani.
La prevenzione prima di tutto
«Il ruolo delle città nella promozione della salute – dichiara Andrea Lenzi, Presidente Health City Institute – sarà fondamentale nei prossimi decenni e la lotta alle CVD rappresenta un’opportunità per attivare una rete di collaborazione tra diversi stakeholder, sviluppare programmi di prevenzione e gestione della cronicità che tengano conto dei fattori di rischio CVD, come l’ipertensione e l’ipercolesterolemia, dell’assistenza sanitaria primaria e secondaria, dell’innovazione». Prima fra tutti il ricorso alla teleassistenza che può ‘collaborare’ a mantenere stabile il paziente, monitorare l’aderenza alla terapia, rimodulare la terapia stessa, alleggerendo il carico sulle strutture sanitare e i servizi ambulatoriali in un’ottica di sostenibilità del sistema. Il contrasto alle CVC deve tuttavia avvalersi dell’empowerment del paziente/cittadino, più consapevole e informato, cui è affidata la responsabilità di migliorare il proprio stile di vita, qualora non fosse sano, facendo attenzione a alcuni indicatori di facile monitoraggio, come il peso e la circonferenza dell’addome, e a biomarcatori controllabili con una diagnostica semplice, come i livelli di colesterolo e di glucosio (glicemia) nel sangue.
Educazione alla salute
«È necessario avviare azioni di educazione, progetti innovativi di alto tenore scientifico e impatto comunicativo – chiarisce Marcello Arca, presidente SISA – perché ad oggi la consapevolezza del paziente/cittadino è scarsa, disattesa». Meno di 1 persona su 10 è in grado di identificare tre sintomi comuni dello scompenso cardiaco che comprendono dispnea grave, gonfiore alle caviglie, rapido aumento di peso e difficoltà di movimento mentre 1 su 3 li scambia per segni di invecchiamento. O ancora solo ¼ delle persone è consapevole di un rischio per famigliarità per ipercolestreolemia con le implicazioni che ne conseguono, invece identificabile con un ‘banale’ esame del sangue. «Sarà imprescindibile dare un nuovo impulso alla medicina territoriale – commenta Lorenzo Latella, Segretario regionale Cittadinanzattiva Campania – con un cambio di passo orientato al raggiungimento di esiti e obiettivi, individuati sulla base delle specifiche esigenze di salute dei singoli territori». Azioni, tutte, necessarie per rendere più realistica la riduzione del 25% della mortalità prematura da malattie non trasmissibili, come raccomandato dell’Italian Urban Health Declaration ai Governi dei Paesi del G20.