Lo dice la cronobiologia. Roberto Manfredini, tra i maggiori esperti, è ordinario di Medicina interna all’Università di Ferrara e direttore dell’unità operativa complessa di clinica medica dell’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Anna, e ci spiega i meccanismi: “Il corpo come un’orchestra: tutti gli organi devono suonare allo stesso ritmo dettato dal direttore, l’ipotalamo, che risponde a luce-buio»

Domenica 27 marzo scatta l’ora legale. Una decisione che per circa un terzo degli italiani potrebbe comportare disturbi fisici e psichici. La ragione è svelata dalla cronobiologia, la scienza che spiega come il nostro corpo funzioni come un orologio biologico in base ai ritmi circadiani, governato soprattutto dai cicli di luce e buio. Abbiamo chiesto di raccontarcelo a uno dei massimi esperti in Italia, Roberto Manfredini, tra i primissimi ad aver pubblicato studi di cronopatologia già dagli anni Novanta del secolo scorso, che hanno fatto letteratura. Manfredini è professore ordinario di Medicina interna all’Università di Ferrara e direttore dell’Unità operativa complessa di clinica medica dell’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Anna di Ferrara.

Roberto Manfredini

L’ora legale comporta in alcune persone dei disturbi. Che cosa succede al corpo secondo la cronobiologia?

Ѐ come se fosse un piccolo jet lag. Fino a qualche anno fa si diceva che per avere questa sindrome occorreva uno scarto di quattro o cinque fusi; poi uno studio (pubblicato su Nature) ha mostrato come anche un coast to coast negli Usa provocava una diminuzione di performance nello sport. Anche un’ora causa un mini jet lag. Come nel jet lag si usa dire West is best, east is least, per similitudine, il cambio dell’ora legale di marzo è come un viaggio verso Est (che accorcia la giornata), rispetto all’ora legale di ottobre che è come un viaggio verso Ovest (che allunga la giornata). Il nostro ritmo circadiano dura però un po’ più di 24 ore: questo spiega perché l’organismo tende a gradire più un allungamento della giornata che un accorciamento. Anche per il cambio dell’ora vige la regola dell’un terzo, come per il fuso orario: un terzo della popolazione lo soffre poco o nulla, un terzo molto e un terzo ha disturbi intermedi.

Quali sono i disturbi prevalenti?

Prima di tutto a carico del sonno e sono variabili: difficoltà ad addormentarsi e svegliarsi al mattino, insonnia o sonno frazionato. A marzo c’è più luce e la melatonina viene maggiormente inibita. Questo vale specialmente per il tiratardi, il cronotipo “gufo”. C’è una ridotta concentrazione al mattino se si ha dormito male, riduzione dei riflessi, con maggiore rischio di incidenti sul lavoro. A livello psichico possono comparire ansia, sbalzi dell’umore o tono deflesso, poco appetito e difficoltà digestive: sono un po’ i sintomi del jet leg. L’orologio biologico viene disturbato dalla sua organizzazione.

La durata e la qualità del sonno è fondamentale per prevenire molte patologie, come è influenzata dai ritmi circadiani?

Il sonno è essenziale per la vita. Durante il sonno il cervello in realtà lavora più del giorno, o meglio, ha meno distrazioni dai tanti stimoli. Nella notte fa il lavoro decisivo della catalogazione delle informazioni della giornata e questo determina la memoria, l’apprendimento. Vengono eliminate le sinapsi vecchie e costruite quelle nuove; i vasi linfatici si allargano e permettono di eliminare le scorie, come la beta-amiloide. Senza dimenticare il sistema immunitario, che si rafforza di notte. Chi dorme poco ha un sistema immunitario meno efficiente.

L’organizzazione dei ritmi circadiani prevede l’alternanza luce e buio da quando esiste la vita sulla terra. Lo stimolo luminoso è recepito dalla retina e trasmesso all’ipotalamo attraverso il fascio retino-ipotalamico, diverso da quello della visione (il sistema coni-bastoncelli). Una sorta di autostrada ancestrale che non porta informazioni complesse come colore, forma, ma luce/buio, come un interruttore on/off: se c’è luce blocca la produzione di melatonina; in caso di buio, la stimola e il messaggio è “riposa e dormi”. La melatonina è un facilitatore del sonno, regolarizza il ritmo, non è ipnoinducente.

Chi dorme otto ore ha dormito bene?

Le otto ore, se frazionate, possono anche non essere sufficienti. Il sonno è suddiviso in quattro fasi (fase I, II, III e IV) più la fase Rem (fase cosiddetta del sogno), che si ripetono nel corso della notte. Un blocco completo (di tutte le fasi) del sonno ha una durata di circa 90 minuti, e ora sappiamo che il fabbisogno di sonno non è in numero di ore, ma di blocchi completi, che significano qualità del sonno. Due blocchi è il minimo indispensabile: 180 minuti potrebbero essere sufficienti. I bisogni individuali sono però diversi: c’è chi necessita del terzo o anche del quarto blocco. Dormire frazionato, senza arrivare alla fase del sonno profondo (III e IV), non è utile per ricaricare le batterie.

Chi lavora di notte si ammala di più?

Dalla notte dei tempi l’uomo è animale diurno, fino a quando non è arrivata la luce elettrica, nell’Ottocento. La specie umana “notturna”, quelli che devono lavorare la notte, ha poco più di due secoli. Oggi la sindrome del lavoratore turnista è un’entità nosologica configurata, ben conosciuta dalla medicina del lavoro. Il ritmo ideale sarebbe quello definito dalla Marina e utilizzato anche dagli astronauti: quattro ore di attività e quattro ore di riposo. Per la vita sociale è però incompatibile. In ogni caso, più breve è il turno e meno disturbante è. Un argomento che emerge da recenti studi sul lavoro a turni, su personale infermieristico, è che le performance possono anche avere differenze di genere: sono prevalentemente le donne a pagare con minore precisione. Per le infermiere, abbiamo osservato, è, per esempio, possibile che nella finestra temporale prossima al termine del turno di notte la possibilità di fare errori sia maggiore. Incide poi anche il cronotipo e l’esperienza.

Gufi e Allodole, perché e come gli individui sono influenzati diversamente dai bioritmi?

La preferenza circadiana è individuale. Ognuno di noi ha scritto nel DNA le proprie caratteristiche: ci sono circa almeno 80 geni, sappiamo oggi, che giocano un ruolo nel dare una predisposizione più verso il mattino (mattutino) o verso la notte (serotino). Due ricercatori, James A. Horne e Olov Östberg nel 1976, per primi hanno validato il test Meq (Morningness Eveningness Questionnaire), per misurare le predisposizioni individuali, ovvero il cronotipo, poi successivamente identificati da autori anglosassoni come owl (gufo) e lark (allodola). Il questionario, validato scientificamente, viene usato tuttora e fornisce uno score del cronotipo. Su questa predisposizione influisce l’età: il bambino è allodola, da ragazzini si diventa più gufi, poi da anziani si torna allodola. Cambia poi in base alla professione e ai determinanti sociali, come, per esempio, avere figli.

La cronobiologia è scienza per cui è valso il premio Nobel della Medicina nel 2017 a tre genetisti, Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young: quali sono i suoi principi? Quali gli ormoni coinvolti?

Da quando esiste la vita sulla terra i cianobatteri si sono organizzati con il ritmo circadiano. L’organismo più antico vivente è un’ameba monocellulare, che vice negli abissi. Ha tre ritmi circadiani per le sue tre funzioni principali: luminescenza, fotosintesi e riproduzione cellulare. Quando un fenomeno è ritmico, è predicibile e riproducibile e dà un vantaggio evolutivo: quello che i biologi chiamano “anticipazione”. Ogni nostra cellula, come quella di ogni essere vivente, è organizzata perché in certi momenti debba succedere qualcosa che ci aspettiamo e per cui siamo pronti a dare il massimo della nostra performance. Per alimentarsi, per esempio, l’apparato gastroenterico, il fegato, sono regolati perché gli enzimi diano il massimo per ricevere e lavorare determinati nutrienti in certe ore. Le cellule del miocardio si nutrono di acidi grassi, quelle del cervello invece di glucosio. Se i nutrienti arrivano in orari diversi, come di notte, quando il sistema cellulare non è organizzato per lavorarli, si perturba il ritmo. Questo spiega perché di notte si deve dormire e non si deve assolutamente mangiare.

Quali sono i momenti giusti?

Ogni attività ha il suo momento. Per quelle psicofisiche, di memoria, concentrazione, destrezza manuale, sport di precisione, il mattino è il momento migliore per la performance; poi il primo pomeriggio. Per le attività fisiche il pomeriggio. La temperatura corporea è un indicatore dell’attività metabolica dell’organismo: viene abbassata di notte dalla melatonina, come andassimo in letargo, e si alza di giorno, con un picco verso sera, con una differenza fino a un grado. Quando siamo caldi vuol dire che stiamo andando al massimo, quindi siamo più performanti per le attività biochimiche. Ecco perché lo sport muscolare è favorito nelle ore pomeridiane.

Mangiare proteine o carboidrati la sera?

Le proteine, vista la azione eccitante degli aminoacidi, tendono a dare condizione di attivazione e veglia; i carboidrati modificano la concentrazione plasmatica di triptofano, precursore della serotonina, e facilitano l’induzione del sonno. La grande grigliata la sera fa arrivare grassi al cuore: non va bene in quel momento e per giunta tiene svegli.

Per cortisolo e adrenalina come funziona il clock biologico?

Il cortisolo, l’ormone dello stress, ha il picco alle 8 del mattino, scende poi fino a ritornare al picco sempre alle 8 del giorno dopo. È il primo ormone per cui è stato identificato un ritmo circadiano, negli anni 40, secondo uno studio pubblicato da Gregory Goodwin Pincus sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism. Le catecolamine, adrenalina e noradrenalina, hanno il picco al pomeriggio. Sono vasodilatatori e broncodilatatori: arriva più sangue ai vasi che sono dilatati, si respira meglio e si va meglio come sport. Gli attacchi di asma avvengono di notte quando prevale il nervo vago, il cui mediatore (aceticolcolina) provoca restringimento dei bronchi e una frenata dei battiti cardiaci.

Calcoli renali, infarto al miocardio. La malattia è regolata dalla cronobiologia?

Molte patologie acute hanno un esordio per nulla casuale, ma che rispetta un andamento ritmico con picchi in certe ore anziché in altre. Mi sono interessato sin dagli anni ’80 a questi aspetti, frutto dell’osservazione quotidiana in pronto soccorso. In verità, questi dati vennero accolti con grande scetticismo all’epoca. Ho anche riportato nel mio libro dedicato alla divulgazione della cronobiologia (“Un tempo per ogni cosa. Vivere in sintonia con il proprio orologio biologico”, Piemme) l’aneddoto dell’umorismo (eufemismo) con cui venni accolto quando portai a un importante congresso i primi dati sull’ictus che si sviluppa al mattino. Oggi anche le più prestigiose riviste internazionali (Nature, Science) considerano del tutto assodato che esista un ritmo delle patologie.

Questo vale non solo per le malattie acute cardiovascolari (infarto, ictus, rottura di aneurismi), ma per una miriade di quadri patologici a carico di vari apparati, come la colica renale, l’epistassi, le emorragie gastrointestinali, l’emicrania, le crisi epilettiche, le malattie acute psichiatriche e anche per i comportamenti di tipo aggressivo. Noi tutti siamo caratterizzati da continue variazioni ritmiche delle nostre funzioni biologiche. Al mattino, per esempio, si registra un aumento dei battiti cardiaci e dei valori di pressione arteriosa; le coronarie sono un poco più strette sia per l’aumento del tono simpatico sia del picco del cortisolo; le piastrine tendono ad aderire maggiormente alla parete del vaso e a formare trombi. Queste variazioni, di entità tale da non essere pericolose di per sé nel soggetto sano, se confluiscono tutte nello stesso momento temporale in un soggetto che ha già fattori di rischio (per esempio coronarie con placche aterosclerotiche), possono fungere da fattore scatenante (trigger) per le malattie cardiovascolari.

Quanto sono conosciuti oggi dai medici i principi della cronobiologia e cosa fare per diffonderne le conoscenze?

Sembra quasi che questi principi siano più conosciuti dalla gente comune, che è molto attenta ai media, anche per quanto riguarda le scoperte scientifiche, che dai medici, visto che questa disciplina “giovane” non rientra nei programmi di insegnamento. Per fare uno dei tanti esempi possibili, che la pastiglia per il colesterolo sia più efficace se presa la sera, quando l’enzima che produce il colesterolo nel fegato è maggiormente attivo, dovrebbe essere informazione nota a ogni medico. Negli ultimi anni sto ricevendo numerosi inviti da società scientifiche che mi chiedono di illustrare le possibili applicazioni della cronobiologia, nei vari campi della medicina. Inviti che accetto con vero piacere, per dare un contributo di divulgazione di questa disciplina cui mi affezionai ormai diversi decenni fa.

Anche l’intestino funziona come un orologio biologico?

L’orologio biologico principale è indubbiamente quello dell’ipotalamo, ma abbiamo visto negli ultimi quindici anni che ogni organo o apparato ha un proprio orologio (definito secondario periferico): cuore, reni, fegato, pancreas e appunto tratto gastro-intestinale, considerato uno dei più importanti. Si può dire che l’organismo sia come un’orchestra, dove l’effetto finale dipende sia dal maestro direttore sia da ciascun singolo musicista con il proprio strumento. Il direttore d’orchestra è l’ipotalamo (detta il ritmo generale, basandosi sulla alternanza luce-buio) e gli organi periferici hanno ciascuno regolatori diversi (per esempio i nutrienti per l’apparato gastroenterico, acqua e soluti per l’apparato renale e così via). Se l’orchestra si esprime nel suo complesso in maniera perfetta, lo stato generale di salute è garantito.

La depressione e alcune malattie autoimmuni possono dipendere dalla luce? In che modo?

Certamente. Non è un caso che siano stati i Paesi del Nord Europa, capitanati dalla Finlandia, a presentare nel 2018 alla Commissione Europea la richiesta di abolire l’ora legale. Questi Paesi pagano i maggiori periodi di buio con una alta prevalenza di depressione e anche di suicidi. Esiste, infatti, una forma di depressione propria dei bui periodi invernali, denominata Sad (Seasonal affective disorder), descritta inizialmente nei Paesi nordici e poi diventata una entità nosologica ben definita. La Sad colpisce specialmente le donne, che cercano aiuto in cibi che siano in grado di migliorare il tono dell’umore (dolci, cioccolato), con ripercussioni poi sull’inevitabile aumento di peso e peggioramento del tono dell’umore. La cura in questo caso è la fototerapia, ovvero esposizione a una particolare luce grazie a lampade speciali.

La luce blu di smartphone e tablet ha invece il potere di bloccare la melatonina in modo più marcato della luce artificiale e naturale, e soprattutto tempo-dipendente. Tutto dipende dall’orario cui si viene esposti. Si usa in modo positivo per i malati di Alzheimer, casi di demenza per cui si prende il giorno per la notte e viceversa. Può valere anche per gli anziani, per non farli dormire di giorno o di sera presto, così da non farli svegliare di notte. Se si prende però luce blu quando c’è la melatonina, si opera un blocco e un ritardo del sonno: si può definire “gufizzazione”. Sappiamo, per esempio, che per i ragazzi “gufizzati” dalla luce blu l’effetto negativo, tra gli altri, è quello di una minore resa scolastica.

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