Nuove tecnologie, in sempre più crescente sviluppo, aprono nuove prospettive per il trattamento delle malattie neurodegenerative. Nell’ambito del progetto “Human Brains” promosso da Fondazione Prada, al convegno “Preserving the Brain”, il professor Vincenzo Di Lazzaro, Responsabile della UOC di Neurologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, ha discusso il razionale e le evidenze relative all’applicazione della stimolazione cerebrale non invasiva alla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), evidenziandone il potenziale terapeutico nel rallentare la progressione della malattia.

La stimolazione cerebrale non invasiva comprende un insieme di tecniche che, attraverso l’uso di campi magnetici ed elettrici, sono in grado di modulare l’eccitabilità dei circuiti cerebrali, inducendone cambiamenti funzionali. Un approccio che rientra nell’elettroceutica, campo emergente della medicina la cui denominazione deriva dalla fusione dei termini “elettricità” e “farmaceutica”, rimarcandone il potenziale terapeutico. L’elettroceutica ha molteplici applicazioni in ambito sia neurologico sia psichiatrico: dalla depressione, all’ictus fino alle malattie neurodegenerative.

Un protocollo di trattamento particolarmente innovativo che, a differenza dei precedenti, può essere realizzato a domicilio dei pazienti, è stato recentemente studiato in persone affette da SLA in uno studio che vede la collaborazione dell’Università Campus Bio-Medico di Roma con l’Istituto Auxologico di Milano, finalizzato a verificare la sicurezza e l’efficacia dell’elettroceutica nel trattamento di questa patologia.

Il razionale è quello di indurre cambiamenti funzionali nei circuiti motori colpiti dalla SLA al fine di rallentare la morte dei neuroni. «La SLA è una patologia caratterizzata da un’ipereccitabilità delle cellule neuronali. Attraverso le metodiche di elettroceutica, è possibile ridurre questo eccesso di eccitabilità corticale che risulta essere tossico per le cellule nervose».

Un approccio che tiene conto di risultati già ottenuti in precedenti studi che hanno coinvolto persone affette da SLA. «Le prime sperimentazioni sull’uso delle tecniche di stimolazione transcranica per il trattamento della sclerosi laterale amiotrofica hanno avuto inizio molti anni fa. Gli studi preliminari del gruppo del Professor Di Lazzaro erano stati effettuati in piccoli gruppi di pazienti sottoposti al trattamento nei primi studi per cinque e nei successivi per dieci giorni consecutivi con cadenza mensile. Tali trattamenti avevano prodotto una lieve ma significativa riduzione nella velocità di progressione della malattia, più evidente nei soggetti trattati per dieci giorni al mese». Tali risultati incoraggianti hanno portato alla realizzazione di studi che prevedevano stimolazioni pluriquotidiane, e quindi non di una sola volta al giorno, per alcuni giorni al mese.

Questo protocollo sperimentale di trattamento è stato reso possibile dalla introduzione di una nuova tecnica di stimolazione transcranica, nota come stimolazione magnetica transcranica statica, che può essere effettuata anche al domicilio dei pazienti. «Nello studio più recente, condotto in collaborazione con l’Istituto Auxologico di Milano, sono stati arruolate 40 persone affette da SLA che hanno effettuato la stimolazione cerebrale 3 volte al giorno, tutti i giorni, per 6 mesi. Lo studio si è appena concluso ed è in corso l’analisi dei dati relativi alla sopravvivenza. La nostra speranza è che una stimolazione cerebrale transcranica magnetica prolungata possa avere una maggiore efficacia nel ridurre la progressione della SLA rispetto ai protocolli che prevedono un numero minore di sessioni di stimolazione».

La non invasività della tecnica suscita notevole interesse. «Ad oggi, il tipo di stimolazione cerebrale che si usa più frequentemente per modulare a scopo terapeutico la funzione di circuiti cerebrali in malattie come l’epilessia o il Parkinson, è di tipo invasivo, e prevede l’impianto nel cervello di elettrodi tramite una procedura neurochirurgica. Le tecniche di elettroceutica non invasiva si distinguono proprio per il loro profilo non solo di sicurezza, ma anche di maneggevolezza, e si configurano pertanto come tecniche all’avanguardia potenzialmente in grado di modificare il decorso clinico di numerose patologie neuropsichiatriche».