Uno studio osservazionale retrospettivo pubblicato su Medical Science Monitor dimostra che le ospedalizzazioni vengono azzerate intervenendo nelle prime 72 ore con una combinazione precisa di farmaci, tra cui l’indometacina. Primo autore il professore Serafino Fazio

Curare il Covid a domicilio è possibile e con farmaci di uso comune, conosciuti da decenni, come l’indometacina, una molecola appartenente alla classe dei Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei). Occorre, tuttavia, intervenire tassativamente nelle prime 72 ore dall’insorgere dei sintomi. In questo modo si azzera il rischio di ospedalizzazione. Lo dimostra uno studio osservazionale retrospettivo pubblicato sulla rivista di medicina generale peer-reviewed Medical Science Monitor.

La ricerca ha come prima firma quella del professore Serafino Fazio, componente del Consiglio scientifico del Comitato cura domiciliare Covid-19, già professore di Medicina Interna all’Università degli Studi di Napoli Federico II e specialista in medicina interna e cardiologia, con alle spalle circa 150 pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifiche, tra cui Nature e New England Journal of Medicine.

Lo studio e i risultati

Il lavoro ha come co-autori Paolo Bellavite (ematologo, già professore di Patologia generale all’Università degli Studi di Verona); Maria Elisabetta Zanolin (biologa, specializzata in Statistica Sanitaria e professore associato di Statistica Medica presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Verona); Peter A. Mc McCullough (cardiologo, internista, Department of Cardiology, Truth for Health Foundation, Tucson, Usa), che ha sottoscritto lo schema terapeutico del Comitato cura domiciliare Covid-19; Sergio Pandolfi (neurochirurgo-ozonoterapeuta, docente al Master di secondo livello in ossigeno-ozonoterapia Università degli studi di Pavia) e Flora Affuso (ricercatrice indipendente).

Lo studio nasce dall’esperienza di cura del Comitato terapie domiciliari Covid-19, che raduna oltre un migliaio di medici da tutta Italia. Ha preso in considerazione 158 pazienti con sintomi da Covid (per esempio, febbre, tosse, mal di gola, mal di testa, raffreddore, perdita di gusto o olfatto) che hanno chiesto un supporto, in quanto abbandonati a sé stessi o lasciati in vigile attesa spesso con la sola indicazione di prendere il paracetamolo. Questi sono stati tutti trattati tra novembre 2020 e agosto 2021, senza aspettare la positività al tampone, con un protocollo di cura basato su quattro farmaci:

  • indometacina, un antinfiammatorio con azione antivirale;
  • un nutraceutico a base di quercetina ed esperidina;
  • un antiaggregante, acido acetilsalicilico a 100 mg;
  • un protettore gastrico, l’omeprazolo.

Lo studio osservazionale retrospettivo ha distinto i pazienti in due coorti similari per numero (85 e 73), età, sesso, e malattie concomitanti: i primi trattati entro 3 giorni, i secondi dopo i 3 giorni dall’insorgenza dei sintomi. Il risultato è stato che nessuno dei pazienti del primo gruppo è stato ospedalizzato e la malattia è durata in media 6 giorni. Al contrario nel secondo gruppo 14 soggetti (circa il 19%) ha dovuto ricorrere all’ospedalizzazione, con due decessi (pazienti con due comorbidità, diabete e obesità).

«In una “guerra” in corso, come è quella contro il Covid, occorre cercare di combattere con tutte le armi a disposizione, ma in due anni un’eventualità terapeutica non è stata presa in considerazione – spiega il professor Fazio – Tutte le terapie, è quello che sta emergendo, si debbono attivare entro i primi 3 giorni, anche i monoclonali. Con questi farmaci, intervenendo precocemente abbiamo evitato le ospedalizzazioni. Dai calcoli fatti dalla professoressa Zanolin, abbiamo scoperto che per ogni giorno di attesa il rischio di aggravamento aumentava di 4 volte. Non dico che è l’unica cura, anzi, ce ne potrebbero essere altre di più efficaci, ma la tempistica è fondamentale. Noi non abbiamo potuto fare altro che uno studio retrospettivo osservazionale, curare i malati, raccogliere i dati e andarli ad analizzare retrospettivamente. Auspichiamo ora che le autorità sanitarie facciano partire uno studio randomizzato, cui daremmo ogni collaborazione».

Il professore Serafino Fazio, componente del Consiglio scientifico del Comitato cura domiciliare Covid-19, già professore di Medicina Interna all’Università degli Studi di Napoli Federico II e specialista in medicina interna e cardiologia

Utilizzo di altri farmaci, check del d-dimero

I pazienti sono stati monitorati più volte al giorno con misurazione della temperatura e della saturazione valutata con il Six minute walking test. Va aggiunto che nei casi di aggravamento della malattia (per il gruppo trattato dopo le 72 ore) sono stati usati anche azitromicina in caso di sovrainfezione batterica, eparina a basso peso molecolare per inibire la coagulazione del sangue e desametasone.

Per completezza di studio, quando i malati sono guariti e si sono negativizzati al tampone, sono stati eseguiti accertamenti, con verifica del D-dimero e la radiografia del torace. Ben 22 del gruppo trattato dopo le 72 ore aveva avuto il D-dimero aumentato rispetto a soli 2 del primo gruppo. Gli esiti cicatriziali alla RX del torace sono stati messi in evidenza in 30 su 73 pazienti del secondo gruppo (il 46%) rispetto a uno solo nel primo.

L’ipotesi fisiopatologica: il ruolo delle IgA

Il meccanismo fisiopatologico ipotizzato per spiegare l’efficacia di questo tipo di intervento appare molto interessante, perché fa luce su un aspetto poco noto, il ruolo fondamentale delle IgA, mentre oggi ci si è focalizzati molto sul dosaggio di IgM e IgG. L’abbinamento delle tre sostanze, l’indometacina, l’esperidina e la quercetina, svolge il compito di fermare il virus sulle mucose e impedire che faccia danni all’organismo e in particolare eserciti l’azione trombotica attraverso la Spike. «Gli impediamo di entrare nel circolo ematico, tenendolo sulle mucose delle alte vie aeree, in attesa che si sviluppi la reazione immunitaria naturale, con la formazione delle IgA secretorie che lo vanno a distruggere.

Da oltre 40 anni abbiamo a disposizione l’indometacina, un antinfiammatorio ipercollaudato che ha azione anche antivirale. L’ho usata in passato per le miocarditi e pericarditi virali, e sulla stessa molecola avevo già pubblicato un’opinion sul World Journal of Meta-Analysis nel giugno 2020. L’azione contro la prima Sars è stata documentata per la prima volta da un gruppo dello Spallanzani nel 2006 (in vitro e in vivo su animali). Questa molecola ha destato interesse anche in ricercatori cinesi sul Sars-Cov-2».

L’azione dell’indometacina è supportata dal nutraceutico a base di esperidina e quercetina, sviluppato dal professor Paolo Bellavite, tra i massimi esperti di flavonoidi in Italia. «L’esperidina, dicono alcuni studi, si va a legare sulla Spike e la quercetina andrebbe, come l’indometacina, a bloccare il recettore ACE2, che è la porta di ingresso principale che il virus utilizza per interiorizzarsi».

Nel caso in cui una certa quantità del patogeno riuscisse a entrare nel torrente ematico, interviene un terzo farmaco, l’acido acetilsalicilico, supportato da un protettore gastrico, l’omeprazolo. «Il virus agisce in modo molto negativo nell’organismo determinando trombosi. Quando entra nel torrente ematico si va a legare ai recettori ACE2, di cui le piastrine sono ricchissime, e la conseguenza di ciò è che queste diventano iperaggreganti. Nelle autopsie si sono trovati molti trombi piastrinici».

La cura va proseguita per 8-10 giorni

Per dare il tempo di formare le IgA di secrezione, la terapia deve durare non meno di 8-10 giorni. «Per tranquillità ho stabilito di allungare ad almeno quattro giorni dopo la scomparsa dei sintomi, che in media è stata di 6 giorni. Da quando uso questa soluzione terapeutica non ho avuto più ospedalizzazioni. Non vedo perché non tentare terapie che possono funzionare e costano poco, suffragate da studi – conclude – Non mi risulta, in tanti anni di medicina, che di fronte a una malattia diagnosticata, per curare si debba aspettare. Non capisco poi perché con la situazione attuale, che sta evolvendo negativamente, nonostante l’alto tasso di vaccinazioni, il Ministero della Salute non dia indicazioni chiare nel dire che a domicilio si debba intervenire subito, ai primi sintomi di malattia, con farmaci antinfiammatori e non con il paracetamolo comunemente usato».

Fonte:

  • Serafino Fazio, Paolo Bellavite, Elisabetta Zanolin, Peter A. McCullough, Sergio Pandolfi, Flora Affuso. “Retrospective Study of Outcomes and Hospitalization Rates of Patients in Italy with a Confirmed Diagnosis of Early COVID-19 and Treated at Home Within 3 Days or After 3 Days of Symptom Onset with Prescribed and Non-Prescribed Treatments Between November 2020 and August 2021”. Med Sci Monit In Press; DOI: 10.12659/MSM.935379