Quando e a chi è indicata la supplementazione empirica di vitamina D? A fare il punto su questa open question sono le ultime Linee Guida, pubblicate sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism da un gruppo di esperti del Massachusetts General Hospital e Harvard Medical School di Boston, Stati Uniti, e un lavoro pubblicato su Endocrine Reviews che riporta, in un paper dall’omonimo titolo, le conclusioni del Consensus Statement on Vitamin D Status Assessment and Supplementation: Whys, Whens, and Hows.

Le indicazioni delle ultime Linee Guida

La supplementazione di vitamina D è raccomandata per bambini e adolescenti fino ai 18 anni, negli anziani oltre i 75 anni, nelle donne in gravidanza e negli adulti con prediabete ad alto rischio: sono le ultime nuove linee guida della Endocrine Society per la prevenzione di malattie in individui senza indicazioni specifiche per il trattamento o il test della 25-idrossivitamina D (25[OH]D).

Il documento apporta alcune novità: in primo luogo suggerisce di limitare, fino a evitare, la supplementazione empirica di vitamina D nella maggior parte degli adulti sani, con un monito all’uso indiscriminato e generalizzato della vitamina D, ma basato su evidenze cliniche solide e in presenza di specifiche patologie.

La supplementazione empirica di vitamina D è raccomandata in specifici cluster di popolazione, senza esclusione di età: gli esperti suggeriscono, infatti, la somministrazione in giovane età, in bambini e adolescenti fino ai 18 anni quale azione efficace contro il rachitismo nutrizionale e per ridurre il rischio di eventuali infezioni delle vie respiratorie (bronchiti, faringiti, tonsilliti), suggerendo supplementi giornalieri tramite cibi fortificati o polivitaminici oppure in pillole o gocce con una dose media stimata di circa 1.200 unità/die; in età avanzata, ovvero in anziani oltre i 75 anni in cui l’integrazione di Vitamina D, tramite supplementi vitaminici anche in abbondanza, può contenere il rischio di mortalità.

Infine, in specifiche fasi della vita, ad esempio, in donne in gravidanza in cui l’approccio piò rappresentare una strategie preventiva contro possibili eventi avversi, quali preeclampsia, mortalità intrauterina, parto pretermine, nascita di neonati piccoli per l’età gestazionale e mortalità neonatale. In ultimo, in presenza di specifiche condizioni cliniche, tra cui il prediabete ad alto rischio in popolazioni adulte per limitare la progressione verso forme di diabete conclamato.

Di contro la supplementazione empirica di vitamina D non è consigliata in maniera generalizzata ad adulti sani sotto i 75 anni e nei bambini, adolescenti e adulti senza indicazioni specifiche. Infine, lo studio non supporta l’uso routinario del test della 25(OH)D nella popolazione generale. Quindi, come indicazione di massima, la supplementazione è essenziale, specialmente durante i mesi invernali e per prevenire carenze; mentre vanno monitorati con attenzione bambini e giovani, specialmente coloro che praticano poca attività fisica all’aperto, le donne incinte, le persone con pre-diabete e gli anziani, anche quelli sani, autosufficienti.

Il Consensus

Il documento affronta con particolare attenzione le “misure” da adottare per la valutazione della carenza e la supplementazione di Vitamina D. Nuove intuizioni sui meccanismi d’azione della vitamina D suggeriscono, ad esempio, collegamenti con condizioni che non dipendono solo dalla ridotta esposizione solare o dall’assunzione dietetica e che possono essere rilevate con metaboliti della vitamina D non canonici.

In quest’ottica l’attenzione si è rivolta a sperimentazioni cliniche su cancro, rischio cardiovascolare, effetti respiratori, malattie autoimmuni, diabete e mortalità. In relazione allo stato e/o alla carenza della Vitamina D, il Consensus ribadisce l’importanza di misurare i valori circolanti di Vitamina D, ovvero di 25-idrossivitamina D (25-(OH)D, tale da permettere una corretta valutazione di eventuale ipovitaminosi D e quindi l’impostazione della terapia più adatta in mancanza di una standardizzazione.

In buona sostanza, la supplementazione va modulata in base alla severità della carenza e il dosaggio della Vitamina D viene raccomandato in tutte le categorie a rischio deficit. Ancora, il documento sottolinea che la somministrazione orale di vitamina D resta la via preferita, riservando la somministrazione parenterale a specifiche situazioni cliniche. Nello specifico si suggerisce l’utilizzo di colecalciferolo, preferito per motivi di sicurezza e per i requisiti minimi di monitoraggio, a fronte del calcifediolo che può essere utilizzato in determinate condizioni, limitando invece il calcitriolo a specifici disturbi in cui il metabolita attivo non è prontamente prodotto in vivo.

In conclusione, sono necessari ulteriori studi per indagare gli effetti della vitamina D in relazione ai diversi livelli raccomandati di 25(OH)D e l’efficacia delle diverse formulazioni supplementari per il raggiungimento di risultati biochimici e clinici all’interno dei molteplici effetti potenziali scheletrici ed extrascheletrici della vitamina D.

Fonte: Demay MB, Pittas AG, Bikle DD et al. Vitamin D for the Prevention of Disease: An Endocrine Society Clinical Practice Guideline. Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, 2024, Vol 109, Issue 8, Pages 1907–1947.

Giustina A, Bilezikian JP, Adler RA et al. Consensus Statement on Vitamin D Status Assessment and Supplementation: Whys, Whens, and Hows. Endoc Rev, 2024.

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