Di vitamina D si è parlato molto negli ultimi mesi, anche e soprattutto in relazione al Sars-CoV-2. Nei giorni scorsi l‘Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha emanato una nota ad hoc in cui chiarisce quali sono gli ambiti in cui è utile prescrivere un’integrazione con Vitamina D o analoghi, colecalciferolo e calcifediolo.

Alla base di questo nuovo documento, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ci sono i risultati di due ampi studi clinici randomizzati, focalizzati sull’associazione tra assunzione di vitamina D e rischio di frattura: il VITAL (“Supplemental Vitamin D and Incident Fractures in Midlife and Older Adults”), statunitense, e il DO-HEALTH (“Effect of Vitamin D Supplementation, Omega-3 Fatty Acid Supplementation, or a Strength-Training Exercise Program on Clinical Outcomes in Older Adults: The DO-HEALTH Randomized Clinical Trial”), europeo.

In entrambi i lavori, i pazienti del gruppo di studio hanno assunto 2000 UI/giorno di colecalciferolo per un periodo di 5 anni, nel primo caso, e di 3 anni, nel secondo, non riuscendo a evidenziare alcuna variazione del rischio di frattura, anche in coloro che avevano i livelli più bassi di vitamina 25(OH)D. Da sottolineare che in entrambi gli studi si è scelto di lavorare con partecipanti sani, senza fattori di rischio per l’osteoporosi. Per quanto riguarda i campioni presi in considerazione, sono molto ampi: 25.871 per il VITAL e 2157 per il DO-HEALTH, dedicato a soggetti più anziani.

Visti questi risultati, Aifa ha stabilito, innanzitutto, che per poter accedere alla rimborsabilità del prodotto i livelli sierici di 25(OH)D devono essere inferiori o uguali a 12 ng/mL: prima la soglia minima era di 20 ng/mL. Ciò vale per i soggetti privi di sintomi per i quali si sia scoperta carenza vitaminica in modo casuale. Il saggio della vitamina D non deve essere infatti considerato una forma di screening di massa della popolazione, ma utilizzato solo su soggetti a rischio di ipovitaminosi o quando sia indispensabile per la gestione del paziente. Nello specifico, i candidati a essere sottoposti al dosaggio di vitamina D sono quelli con persistente astenia profonda, mialgia, dolori ossei diffusi o localizzati e predisposizione a cadute immotivate, oltre a chi dovrebbe essere sottoposto a terapia remineralizzante, è potenzialmente affetto da malassorbimento o assume farmaci che interferiscono con il metabolismo di questa vitamina.

Infine, anche chi ha un paratormone troppo alto. In questi pazienti è sufficiente un valore inferiore a 20 ng/mL per accedere alla rimborsabiltà dell’integratore. Infine, in chi soffre di osteoporosi e nelle donne incinta si può procedere con la supplementazione se i valori sierici della vitamina D sono inferiori a 30 ng/mL. In tutti i casi, sottolinea la nota, meglio procedere con una supplementazione giornaliera: le dosi cumulative si sono dimostrate spesso inefficaci.

Esiste un limite massimo da non superare, perchè determina effetti paradosso ed è quindi pericoloso: i 100.000 UI. In soggetti particolarmente carenti si può procedere con una somministrazione iniziale elevata, seguita poi da dosi giornaliere di carica inferiore. Possibile sospendere l’assunzione nei mesi estivi.