Disbiosi intestinale, dispepsia funzionale, alterazioni della ghiandola tiroidea sono alcune delle problematiche che possono trovare una soluzione terapeutica efficace in un approccio di medicina integrata. Se ne è parlato al 3° Meeting Nazionale SIMeB (Società Italiana di Medicina Biontegrata), Clinical Innovation, appena concluso a Bologna (13-14 Aprile)

Reflusso gastroesofageo e dispepsia funzionale

Non solo cibo, tutto quanto entra a livello orale ha un importante impatto a livello gastroenterico: intestino e cervello, è noto, rappresentano infatti è un asse funzionale (im)portante che comunica H24 attraverso una serie di mediatori producendo re-azioni condizionate da diversi fattori: emozioni e microbiota, innanzitutto, quest’ultimo un organo di forza capace di modulare la comunicazione dell’asse tra primo e secondo cervello, definendo la diversa sintomatologia percepita dal paziente.

Il sintomo, dunque, deve fungere da guida anche per l’interpretazione del riflesso emozionale della persona, pena il possibile fallimento terapeutico messo in atto: stato influenzale e disagio influenzano, infatti, la motilità e le secrezioni gastrointestinali.

«Il reflusso gastroesofageo – spiega Adriana Simone, specialista in gastroenterologia e endoscopia digestiva e consulente nutrizionale – da sempre è stata gestita sempre come una patologia acido correlata, trattata in maniera standardizzata con inibitori di pompa protonica: terapia ad alto rischio di inefficacia, con un peggioramento soprattutto della qualità di vita. Un errore terapeutico: studi recenti mostrano che solo una minoranza di pazienti ha una elevazione dell’acidità gastrica, rispetto a prevalente dismotilità e ipersensibiltà viscerale con incapacità di consumare pasti anche leggerei, in quanto la dismotilità induce una contrazione tanto quanto la comunicazione dell’asse intestino-cervello è accentuata».

Sebbene le Linee Guida più tradizionali non escludano il ricorso a inibitori di pompa in caso di acidità gastrica aumentata, recenti approcci prevedono e propendono una terapia personalizzata che trova una risposta efficace nella medicina integrata.

«È necessario studiare il caso del paziente, valutare se vi è un eccesso o un difetto energetico su cui impostare una terapia integrata e combinata che tenga conto della dismotilità, indicativa di dispepsia funzionale, della contrazione, dell’ipersensibilità, dell’infiammazione, della disbiosi. Fondamentale, soprattutto, è l’attenzione al microbiota, ricco di phyla e specie batteriche, al centro della comunicazione del sistema simpatico e parasimpatico: le linee guida suggeriscono la manipolazione della dieta, con l’eliminazione di alcuni cibi, tra questi il cioccolato e il pomodoro per contenere i sintomi. La medicina integrata raccomanda, soprattutto, di “potenziare” il microbiota, limitando l’apporto proteico per evitare l’eccessivo aumento di mediatori che interferiscono con la comunicazione dell’asse intestino-cervello. Inoltre, in fase di anamnesi è importante valutare le modalità di assunzione dei pasti e le reazioni, ad esempio se il paziente presenta emotional eating (fame emotiva) e le modalità di evacuazione, dando indicazioni sullo stile di vita. In primo luogo mangiare piane e bene, non bere prima dei pasti per non impattare sugli aspetti enzimatici, e diversi altri approcci».

La farmacologia suggerisce per il trattamento l’utilizzo di menta, recenti studi evidenziano l’efficacia di un composto con estratti di radici che agiscono sulla dismotilità e di specifiche piante officinali per il reflusso gastroesofageo, infine la fitoterapia propone una gemmoterapia, che fa uso della parte giovane della pianta ad alto contenuto di importanti phytochemicals.

Focus sul microbiota e i batteri opportunisti

Tipologia di parto, allattamento, assunzione di antibiotici nei primi 3 anni di vita, fattori epigenetici, in primis l’alimentazione, influenzano la composizione e la salute del microbiota. Ad esempio cibi a base di alimenti zuccherati, cereali, alghe e dolcificanti selezionano una popolazione batterica fermentativa a fronte di una dieta in cui prevalgono proteine animali, in assenza di fibre che favorirà lo sviluppo di una popolazione di microrganismi putrefattiva.

«Abbiamo in questo caso – dichiara Salvatore Di Meglio, specialista in Scienza dell’alimentazione e dietologia, A.S.L. NA 1 Centro – la prevalenza di batteri Gram -, ad azione pro-infiammatoria che abbandonando l’intestino esportano il segnale infiammatorio in altre parti dell’organismo, stimolando la possibile insorgenza di diverse patologie, anche extra gastrointestinali, come disbiosi intestinale infettiva e putrefattiva, e favorendo la produzione di microrganismi di rado eccessivamente presenti come miceti e parassiti».

Tra le possibili patologie: la candida, la sindrome di Roemheld, causata da una distensione del fondo gastrico, la fermentazione alcolica.

«La candida – prosegue l’esperto – può aumentare la permeabilità intestinale, libera inoltre nichel e una serie di recettori che possono modificare l’assetto ormonale, e secerne fra le tante tossine acetaldeide. Fattori che in sinergia possono portare alla riduzione di specifici batteri e all’aumento di alcuni altri che liberano istamina, potendo dunque sviluppare una sindrome da intolleranza da istamina, anche in assenza di DAO (enzima diaminossidasi) che lavora sull’istamina esogena e da non confondere con l’intossicazione da istamina. Il buon funzionamento di DAO è favorito da Vitamina B6, rame, ferro e zinco, ricordando che possono all’opposto interferire nell’attività di questo enzima il microbioma alterato, l’alcool, le SNPs (polimorfismo a singolo nucleotide), specificatamente i geni degli enzimi della sintesi dell’istamina, della degradazione dell’istamina, dei recettori dell’istamina. Possono inoltre influire il gene NAOC1 che codifica per la DAO, da solo possibile causa di un alterato meccanismo dell’istamina, i farmaci, alcune situazioni fisiologiche e parafisiologiche, ad esempio durante la fase luteinica dove si ha maggiore attività della DAO, in gravidanza con attività alterata dell’enzima, nelle malattie infiammatorie intestinali in cui si osserva un deficit di DAO».

La medicina integrata suggerisce nel paziente con alterazione della DAO di sospendere almeno per un mese alimenti istamina-liberatori con successiva reintroduzione in quantità minime infinitesimali osservando le possibili reazioni e di supportare l’attività di DAO anche con nutraceutica o la PEA (palmitoiletanolamide) che controlla l’istamina endogena, i già citati ingredienti Vitamina C e B6, rame e zinco e i nutrienti per il gene MTHFR (MetilenTetraHydroFolatoReduttasi), ovvero lipofeina, L-metilfolato, ipotaurina, magnesio e zinco.

La tiroide

Dialoga con l’intestino, agisce sulle molecole circolanti, correla in maniera importante con la fisiologia a livello ginecologico e con l’apparato sessuale, impatta sul cortisolo e lo stress, influenza la funzione cardiaca: sono alcune delle principali funzioni svolte dalla tiroide.

In contesti di patologia, spesso sono trascurati alcuni fattori trigger importanti: «Ad esempio nell’ipertiroidismo – precisa Irene Pacetti, specialista in Medicina Interna, perfezionata in Medicina Biontegrata presso l’Università di Chieti e naturopata – giocano un ruolo importante gli acidi grassi bassi, l’affaticamento surrenale, la sindrome dell’intestino irritabile che si sommano alle cause dirette e al quadro sistemico riferito all’uso di farmaci e/o di altre cause che possono interferire con l’equilibrio della ghiandola stessa. Quando la tiroide sfarfalla non sono da sottovalutare i segnali sfumati, tra cui abbassamento della temperatura basale, aumento del peso, rialzo dell’assetto lipidico (colesterolo), secchezza della cute, astenia, alterazione cardiovascolare. Specificatamente per l’ipertiroidismo ansia, nervosismo, incremento della funzionalità cardiaca e pressione arteriosa, tremori, sudorazione, alterazione del ciclo mestruale e nell’uomo disfunzione erettile e eiaculazione precoce».

Dal punto di vista diagnostico oltre all’approccio di base, con i dosaggi di TSH, FT3 e FT4, la valutazione degli anticorpo, darebbe importante richiedere anche il dosaggio di rT3 (triiodotironina inversa) e una ecografia anche nel paso in cui vi sia un sospetto clinico in assenza si alterazioni di TSH.

«L’approccio integrato – conclude la dottoressa – prevede un trattamento a “tre fasi”: terapia mirata, funzionale al contesto clinico (iper o ipotiroidismo), drenaggio con tropismo diretto in prevalenza, e una terapia di terreno definita in base alle caratteristiche costituzionali del paziente, alle cause eziologiche coinvolte, alla focalizzazione delle lesioni. In conclusione, il TSH non è il solo indicatore da prendere in considerazione, il paziente va inquadrato correttamente in termini di età, sesso: fattori che, in caso di segni di squilibro dovranno governare le strategie terapeutiche di prevenzione e trattamento senza dimenticare di spingere lo sguardo oltre la malattia, considerando ad esempio la “qualità” e il topo di cibo, la qualità dell’aria, della respirazione e del sonno, la gestione dello stress, le relazioni affettive e sociali, il contesto di vita complessivo e la circadianità dei suoi ritmi, l’attività fisica».