La pratica fisica regolare, costante nel tempo, anche di lieve intensità sembra associarsi a un rallentamento del decorso della malattia di Parkinson. Sono le prime evidenze emerse da uno studio dell’Università di Kyoto, in Giappone, pubblicato sulla rivista Neurology.

Il ruolo dell’esercizio fisico

Non solo per mantenersi in salute, ma anche per ‘migliorare’ il decorso di una malattia. L’esercizio fisico conferma la sua azione di efficacia, anche nel caso di patologie neurodegenerative, come ad esempio la malattia di Parkinson (PD) dove non sembra contare la potenza, lieve moderata o intesa dell’attività stessa, quanto piuttosto la costanza, la perseveranza della pratica, regolare nel tempo. È quanto emerge dai risultati preliminari di uno studio giapponese condotto su 237 pazienti con PD precoce, di età media 63, in prevalenza maschi (69%) con follow-up a cinque anni (2012-2019). Vi sarebbe evidenza, infatti, che i benefici derivanti dalla pratica fisica sono sovrapponibili sia in caso di attività lieve come anche di una pratica intensità medio-alta.

Lo studio

Valutare l’impatto dell’attività fisica sul controllo della malattia di Parkinson a lungo termine ha guidato l’indagine dei ricercatori, a fronte dei dati dello studio Parkinson’s Progression Markers Initiative che includeva valutazioni longitudinali e complete su diversi parametri clinici. Le analisi del presente studio, di coorte osservazionale, sono state condotte utilizzando modelli lineari multivariati a effetti misti: nello specifico l’interazione dell’attività fisica regolare e i livelli di esercizio da moderati a vigorosi sono stati misurati con il questionario Physical Activity Scale for the Elderly, utile a ottenere informazioni sulla progressione dei parametri clinici, dopo aggiustamento per età, sesso, dose equivalente a levodopa e durata della malattia. Ulteriori indagini hanno calcolato il bootstrap degli intervalli di confidenza al 95% e sono state condotte analisi di sensibilità utilizzando il metodo di imputazione multipla e analisi di sottogruppi incrociando il punteggio di propensione con i fattori di rischio al basale.

I risultati

Vi sarebbe evidenza che l’attività fisica regolare e i livelli di esercizio da moderato a vigoroso al basale non impattano in maniera significativamente differente sulla progressione di malattia ma, di contro, livelli medi di attività fisica complessiva, regolare nel tempo, sembrano associarsi a un deterioramento sensibilmente più lento della stabilità posturale e dell’andatura. Mentre le attività quotidiane, compreso quelle lavoro-correlate, offrono un recupero sulla velocità di elaborazione, con esiti e coinvolgimenti di funzionalità differenti a seconda della tipologia di attività fisica.

Infatti, le abitudini di esercizio da moderato a vigoroso sembrerebbero preferenzialmente associarsi al rallentamento del declino di postura e andatura, mentre le attività lavoro-correlate alla migliorata velocità di elaborazione e processazione, rallentandone cioè l’evoluzione negativa, e le attività domestiche supportare la capacità di svolgere meglio le attività del quotidiano. Evidenze che sono state confermate dai dati di imputazione multipla e dalla corrispondenza del punteggio di propensione.

Lo studio sembrerebbe attestare che la pratica fisica regolare e l’abitudine all’esercizio costante nel tempo, sono in grado di migliorare, rallentandolo, il decorso del PD, con risultanze diverse sulle differenti funzioni a seconda del tipo di attività fisica condotta.

Fonte:

  • Tsukita K, Sakamaki-Tsukita H, Takahashi R. “Long-term effect of regular physical activity and exercise habits in patients with early Parkinson disease”. Neurology, 2022. http://doi.org/10.1212/WNL.0000000000013218