Le statistiche offerte dallo statunitense National Institute of Mental Health mettono in evidenza come la depressione sia un problema fortemente giovanile. Secondo questi dati, nel 2020 il 17% degli adulti di età compresa tra i 18 e i 25 anni ha dichiarato di aver sperimentato almeno un evento di depressione maggiore nei 12 mesi precedenti. Una percentuale che aumenta se si prendono in considerazione gli adolescenti, pari al 18.2% nella fascia 14-15 anni e al 21.9% in quella 16-17 anni. E questi numeri si riferiscono solo a eventi di depressione maggiore, il che non esclude che molti di più abbiano sperimentato sintomi depressivi, come ansia, cambio di umore, perdita di piacere e così via. La situazione in Italia non è certo migliore! Dati riportati dalla Società Italiana di Pediatria nel 2018 parlavano di depressione per il 10% della popolazione tra i 12 e i 25 anni di età, pari a circa 820.000 ragazzi. Le ragioni di questa situazione sono molteplici, di carattere sociale, affettivo, relazionale e così via…

Sempre più spesso, però, ci si interroga anche su quale possa essere, se c’è, il ruolo del cibo. Nei Paesi occidentali cresce la quantità di cibo industriale consumata. Si tratta di un cibo super processato, spesso deprivato di buona parte delle sostanze nutritive degli ingrediente utilizzati. Un recente studio italiano, condotto su un campione di 596 individui reclutati nel Sud Italia, conferma questa ipotesi. Più nel dettaglio, gli autori hanno sottoposto i partecipanti a una serie di questionari per capire, da una parte, quanto cibo processato mangiassero e quanto sano e, dall’altra, se avessero o meno sintomi depressivi. Fatto ciò, hanno elaborato i dati in modo statistico. Si osserva, così, che coloro che mangiano più cibi processati sono più a rischio di sviluppare sintomi depressivi rispetto a coloro che mangiano cibi ricchi in fibre, come cereali, frutta, verdure, legumi, formaggi e olio di oliva. Non è detto che ciò sia legato a una scarsità di nutrienti nella dieta processata. Nella loro discussione, gli autori sottolineano che questi risultati sono in linea con quelli di precedenti studi, condotti anche su campioni più ampi: uno francese (https://doi.org/10.1186/s12916-019-1312-y), su 26.000 soggetti alimentati per 1/3 con cibi ultraprocessati, nel quale si osserva un aumento del 21% del rischio di sviluppare sintomi depressivi in 5 anni ogni 10% in più di calorie assunte con quel tipo di alimentazione; uno spagnolo (https://doi.org/10.1007/s00394-019-01970-1), su 15.000 laureati, che evidenzia un rischio di sviluppare depressione del 33% maggiore in chi mangia almeno 400 g al giorno di cibo processato.

Pubblicato su “Nutrients”, lo studio è stato condotto dal Dipartimento di Scienze Biotecnologiche e Biomedicali e dal Centro NUTREA dell’Università di Catania, insieme all’Istituto di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS NEUROMED di Pozzilli.

 

Studio: Godos, J.; Bonaccio, M.; Al-Qahtani, W.H.; Marx, W.; Lane, M.M.; Leggio, G.M.; Grosso, G. Ultra-Processed Food Consumption and Depressive Symptoms in a Mediterranean Cohort. Nutrients 2023, 15, 504. https://doi.org/10.3390/nu15030504