Nel corso del XLVII Congresso Nazionale della Società Spagnola di Reumatologia si è tenuta una Tavola Rotonda dal titolo: “I volti del dolore in reumatologia”. Nel corso di tale tavola rotonda sono state presentate le nuove conoscenze e acquisizione su fibromialgia e artrite reumatoide: due patologie distinte, ma accomunate dalla complessità del dolore cronico, che oggi offre nuove possibili interpretazioni.

Evoluzione del concetto di fibromialgia

Da “reumatismo psicogeno”, cioè di origine psicologica secondo le teorie degli anni ’70, a “malattia dal dolore cronico generalizzato” di durata superiore a 3 mesi con presenza di almeno 11 trigger point dolorosi su 18. Protagonista dell’evoluzione concettuale del dolore fibromialgico è stato il ricercatore Frederick Wolfe che nel 1990 stabilì i primi criteri di classificazione della malattia, rivisti poi nel corso degli anni in funzione a nuove conoscenze.

Nel 2010, infatti, definì nuovi criteri per definire il dolore, quali dolore generalizzato, indice del dolore e dei sintomi caratterizzati da pool di possibili manifestazioni (stanchezza, sonnolenza, altri sintomi somatici), successivamente ridotti a soli tre indicatori: mal di testa, dolore al basso ventre e depressione, in associazione alla ‘scomparsa’ di punti dolenti a causa della perdita di sensibilità. «In base a ciascun evento – spiega Javier Rivera, del Servizio di reumatologia dell’Ospedale Generale Universitario Gregorio Marañón (Madrid), e relatore sul tema alla Tavola Rotonda – è stato creato un indice e una scala dei sintomi della fibromialgia, attualmente utilizzata per studi epidemiologici».

Nel 2016 Wolfe compie una nuova revisione, stabilendo una diversa scala del dolore e ipotizzando la presenza di altre comorbidità associate alla fibromialgia, introducendo, dunque, anche altri criteri di valutazione fra cui i criteri AAPT che definiscono in maniera diversa le aree dolorose.

Il dolore complesso nella fibromialgia

Sono differenti le forme di dolore cronico che possono intervenire nella fibromialgia: dolore facciale, come mal di testa, dolore viscerale, sindrome dell’intestino irritabile, dolore addominale primario, dolore al pavimento pelvico, per citarne alcune. «Molti pazienti con fibromialgia – aggiunge Rivera – lamentano molti di questi sintomi, ovvero più forme di dolore cronico possono essere co-presenti nella patologia. La complessità del dolore è dovuta al fatto che sono stati riconosciuti almeno 41 sintomi, solo fra i più comuni, associabili alla fibromialgia».

Ritardo nella diagnosi

Il ritardo diagnostico resta un fattore cruciale nel paziente fibromialgico. Al fine di una migliore intercettazione, oltre ai criteri di diagnosi esistenti, sono stati sviluppati una serie di questionari mirati, soprattutto di Primary Care (PC), sebbene il riconoscimento dei sintomi della fibromialgia e la loro differenziazione rispetto ad altre malattie, così come lo sviluppo di un piano di trattamento, restano ancora critici per il medico di medicina generale (MMG). «I reumatologi – chiarisce Rivera – sono gli esperti di riferimento per la fibromialgia. MMG e psichiatri, che non hanno mai considerato la fibromialgia una malattia psichiatrica e dunque di loro pertinenza, hanno un ruolo minore nell’iter diagnostico. Ragion per cui la diagnosi continua ad essere difficile, soprattutto nella PC, inducendo così un rischio di sottodiagnosi e/o anche di sovradiagnosi».

Non sono rare, precisa l’esperto, diagnosi di fibromialgia asseribili, di contro, a astralgie meccaniche degenerative, problemi di tendinite, contratture, astralgie associate a situazioni di menopausa o a sindrome metabolica. «Sia i medici di PC (MMG) che i reumatologi stessi – aggiunge Rivera – devono essere in grado di fare diagnosi differenziale».

Artrite reumatoide

È una delle cause più comuni di dolore cronico tra la popolazione mondiale, con stime in aumento in funzione dell’allungamento della vita media e dell’invecchiamento della popolazione. «Nell’artrite reumatoide, malattia progressiva, sistemica e autoimmune a base infiammatoria cronica – commenta Enrique J. Cobos del Moral, del Dipartimento di Farmacologia della Facoltà di Medicina dell’Università di Granada che ha relazionato sul tema nel corso della Tavola Rotonda – il dolore è il sintomo prevalente e più invalidante per il paziente, strettamente correlato alle citochine. Queste sono piccole proteine, fondamentali per controllare la crescita e l’attività delle cellule del sistema immunitario e del sangue. Inoltre le citochine agiscono indirettamente sull’aumento della produzione di fattori infiammatori e in maniera diretta sui nocicettori periferici, ovvero sui neuroni sensoriali periferici i quali esprimono diversi recettori per molte citochine. Da qui il loro coinvolgimento nei disturbi del dolore infiammatorio cronico». L’azione delle citochine va dunque a sommarsi all’azione delle terminazioni nervose presenti nelle articolazioni, alcune delle quali producono stimoli meccanici, che contribuiscono al dolore».