Il gusto amaro è, probabilmente, quello meno apprezzato e non solo da esseri umani e primati, ma anche da altri animali erbivori che prediligono erbe giovani e dolci. Ciò succede perché l’amaro è anche il gusto di molte tossine: non a caso si dice “amaro come la cicuta”. Evitare i cibi amari, quindi, permetterebbe di ridurre il rischio di incorrere in avvelenamenti e intossicazioni. Eppure Homo sapiens sapiens a imparato a convivere con questo sapore, che viene recepito per lo più da recettori posti in fondo alla lingua e, in misura minore, su guance e palato. Evolvendoci a stresso contatto con la Natura abbiamo presto compreso come molte sostanze amare abbiano anche proprietà medicamentose. L’etnofarmacologia, anzi, era usa dedurre la funzionalità di una pianta in base al suo sapore, piuttosto che alla classe di appartenenza: questa modalità è tuttora utilizzata nella medicina Ayurvedica e in quella Tradizionale Cinese, le più antiche tradizioni ancora in uso.
Un recente studio della Carol Davila University of Medicine and Pharmacy di Bucarest, pubblicato su “Plants”, studia la relazione esistente tra gusto e proprietà farmaceutiche delle piante. Sette i gusti sperimentati: astringente, amaro, pungente, salato, acido, dolce e umami. Più nel dettaglio, lo studio si propone di individuare una ipotetica concordanza tra gusto e tra classe chimica e attività anti-infiammatoria e di stabilire quale dei due aspetti fornisce migliori indicazioni. Gli autori hanno preso in considerazione 592 fitofarmaci, 452 con provata attività antinfiammatoria e 140 senza, mettendoli in relazione, quando possibile, con uno dei 7 gusti sopra elencati e, quindi, con una specifica classe chimica. L’analisi ha messo in evidenza che, tra i gusti, solo l’amaro presenta una correlazione lineare con l’attività antinfiammatoria, mentre tra le classi chimiche, sono i flavonoidi a riveòare questa attività. Al contrario, composti dolci o acidi difficilmente avranno attività anti-infiammatoria. Proseguendo nel loro lavoro, gli autori arrivano ad affermare che, nel caso dell’azione antinfiammatoria, il gusto di una pianta è persino più utile della classe di composti che contiene per prevederne l’attività farmacologica… Ecco quindi che un’erba amara ha maggiore probabilità di avere attività antinfiammatoria di una non amara, che contenga o meno flavonoidi. Gli autori hanno anche provato, in un campione più piccolo, ad associare il gusto amaro alla presenza di flavonoidi, senza riuscirci. Ma quale potrebbe essere il legame tra gusto e attività farmacologica di una pianta? Alcune ipotesi mettono in campo i recettori del gusto amaro, che entrerebbero in qualche modo nel processo curativo: ipotesi sostenuta dagli autori ma che non trova conferma nel presente lavoro. Tra le limitazioni dello studio vi è senz’altro la piccola dimensione del campione di fitoterapici analizzato: dimensione legata alla difficoltà a trovare informazioni sul gusto degli stessi composti.
Studio: Dragoș D, Petran M, Gradinaru TC, Gilca M. Phytochemicals and Inflammation: Is Bitter Better? Plants (Basel). 2022 Nov 6;11(21):2991. doi: 10.3390/plants11212991. PMID: 36365444; PMCID: PMC9654259.