Si trovano ovunque, compreso nei cibi: oltre 10mila genomi. Parliamo dei microbi e quelli presenti negli alimenti potrebbero influenzare, oltre alla qualità del prodotto, anche la composizione del microbiota umano.
Una scoperta emersa da un progetto di ricerca internazionale, coordinato dal Dipartimento Cibio dell’Università di Trento, che ha permesso di strutturare un database, complesso e molto ricco di metagenomi, tutti di origine alimentare. La ricerca è stata pubblicata su Cell Press.
Un microbiota alimentare
Nessuno ancora se ne era occupato o le informazioni al riguardo erano limitate. L’“intuizione” di un gruppo di ricercatori, compresi un pool di italiani, che ha voluto indagare in quest’ambito ha portato a un’interessante scoperta, non solo conoscitiva, ma potenzialmente importante anche per la salute dell’uomo.
Gli esperimenti condotti dai ricercatori, su oltre 2.533 differenti alimenti, hanno portato a identificare un altrettanto enorme numero di genomi di microbi, almeno 10.899. Microbi che potrebbero influenzare sia qualità degli alimenti, sia il microbioma umano, cioè il complesso di microorganismi che risiedono nell’organismo.
L’innovazione risiede anche nella metodica con cui si è arrivati a identificare questi microbi alimentari: di norma, infatti, si procede a coltivarli singolarmente in laboratorio con un processo lungo, laborioso e non sempre efficace. L’utilizzo dei tecniche di metagenomica ha permesso di sequenziare l’intero materiale genetico di un campione alimentare vastissimo in modo rapido e soprattutto simultaneo.
In questo modo, è stato possibile analizzare oltre 2.500 metagenomi da 50 paesi, di cui 1.950 sequenziati per la prima volta, evidenziando, ad esempio, che i microbi associati agli alimenti appartengono a 1.036 specie batteriche e 108 a specie fungine o che alimenti simili tendono a ospitare microbi simili, con una varietà particolarmente elevata tra i latticini.
I risultati
Gli esperimenti condotti farebbero ipotizzare che i microbi presenti negli alimenti possano essere parte, con una percentuale che può arrivare fino al 3%, anche del microbioma intestinale di un adulto, e raggiungere il 56% in quello del bambino, superando il 50% nel caso dei neonati.
Una evidenza, dunque, che darebbe una prima dimostrazione importante: la correlazione esistente e i conseguenti impatti fra microbi alimentari e microbiota umano, indipendentemente dall’età, ciò farebbe ipotizzare che alcuni microbi intestinali possano essere acquisiti direttamente dal cibo, con implicazioni significative per la salute umana.
Buona notizia, le indagini avrebbero rilevato la presenza solo di pochi batteri potenzialmente patogeni, tuttavia, alcuni microbi sembrerebbero capaci di modificare negativamente il sapore o la conservazione del cibo, dando una dritta, ad esempio, per il miglioramento futuro della qualità dei cibi, le metodiche produttive e/o anche della loro regolamentazione e, in particolare, per la sicurezza degli alimenti.
Ma andranno indagate soprattutto le implicazioni che questi microbi alimentari possono avere sull’uomo: sebbene il 3% di probabilità che risiedano anche nell’organismo dell’adulto sembrino molto ridotte, sono sufficienti per alterare e definirne la funzione e il ruolo nell’organismo. Da questo database si aprono importanti prospettive per lo studio su larga scala della relazione microbi alimentari-salute umana.
Fonte: Piperni E, Nguyen LH, Manghi P et al. Intestinal Blastocystis is linked to healthier diets and more favorable cardiometabolic outcomes in 56,989 individuals from 32 countries. Cell Press, 2024, Vol. 187, Issue 17, p4554-4570.e18.