La corretta alimentazione fa bene all’organismo e promuove salute: nulla da eccepire. Tuttavia questo concetto va, oggi, ulteriormente dettagliato. Possiamo parlare di nutrizione “positiva”, che promuove cioè alimenti buoni da includere nella dieta piuttosto che spingere su quelli da escludere dalla tavole, e di “personalizzazione” della nutrizione nel rispetto della singole caratteristiche e necessità della persona/paziente. In questo modo si può contribuire al contrasto di specifiche patologie, per esempio delle malattie cardiovascolari, riducendone il rischio o ritardando l’insorgenza dell’evento. Tesi comprovata da diversi studi scientifici.

Il concetto di nutrizione “positiva”

Non siamo abituati a considerare l’alimentazione in quest’ottica, mentre, dati alla mano, questo approccio potrebbe fare la differenza in termini clinici e di soddisfazione della persona, partendo dall’assunto che molti degli attuali decessi sono dovuti (anche) alla complicità dell’alimentazione. Uno studio del 2019, pubblicato su The Lancet, dal Global Burden of Diseases, Injuries and Risk Factors evidenzia che l’insufficiente consumo di cereali integrali, frutta secca, semi e frutta sarebbe responsabile del 50% dell’eccesso di mortalità. Dunque dei 2 milioni di decessi che potrebbero essere evitati con interventi sulla dieta, 1 milione sarebbe prevenibili anche grazie al (maggior) consumo dei gruppi di alimenti citati che oggi scarseggiano sulla tavola, almeno nel nostro continente.

Di contro, le bevande zuccherate, gli acidi grassi trans, contenuti per esempio nella margarina in panetto, e le carni processate, secondo lo studio, contribuiscono solo al 2,5% dei decessi: un ventesimo in meno rispetto alle carenze nutrizionali di frutta fresca e secca, semi, cereali. A conferma di ciò, il Global Burden of Disease non include i grassi saturi fra i primi 15 alimenti responsabili di fattori di rischio per patologia; anche 4 metanalisi concordano tutte sul fatto che i saturi non contribuiscono in maniera significativa né all’eccesso di morti cardiovascolari, né alla mortalità per tutte le cause.

«Nel tempo ci siamo occupati troppo degli alimenti e nutrienti che non dovremmo consumare, la cosiddetta nutrizione “negativa” – dichiara Andrea Poli, Presidente e Direttore Scientifico di Nutrition Foundation of Italy (NFI) – e meno invece di quelli che contribuiscono favorevolmente alla riduzione del rischio cardiovascolare: in Europa sono ben 2 milioni i decessi sono attribuibili a questa causa». A questi dati va aggiunta poi la componente psicologica: cambiare il paradigma e parlare di “nutrizione positiva” può aumentare l’adesione dei pazienti alle proposte terapeutiche di tipo dietetico. «Una nutrizione di tipo positivo – chiarisce Poli – che sottolinei di più le cose che i pazienti debbano consumare, piuttosto che quelle che debbono essere abolite potrebbe essere più attrattivo».

Nutrizione “personalizzata”

Chi ha detto che caffè, cioccolato e tè fanno male e nuocciono a tutti? Il teorema one size fits all sta diventando sempre più fragile e così il concetto di nutrizione “positiva” si allarga a nutrizione “personalizzata”. Un alimento che potrebbe essere dannoso per una persona potrebbe non esserlo (o esserlo in percentuali sensibilmente inferiori) per un’altra. «Ci sono alcuni alimenti, e fra questi caffè, cioccolato e tè – aggiunge Poli – che potrebbero essere consumati, mentre sono guardati con diffidenza. Secondo alcune analisi, un consumo anche elevato di queste bevande e alimenti ha un effetto sulla salute tendenzialmente positivo. Per esempio, l’assenza di consumo di caffè si associa a un maggior rischio cardiovascolare rispetto a un consumo di 8 tazzine al giorno. Anche cioccolato e tè hanno effetti favorevoli sull’apparato cardiovascolare, esiti per tutti riferibili al contenuto di polifenoli». Al pari della frutta, che per quanto contenga fruttosio, resta un caposaldo della sana alimentazione.

Le considerazioni sugli alimenti all’indice oppure no nascono da Linee Guida, corrette, ma che tirano considerazioni generalizzate, una sorta un passe-partout per l’intera popolazione. La nutrizione personalizzata si misura invece sulla persona: cosa dire del colesterolo delle uova, fa bene o fa male? La risposta non è univoca: soggetti ‘assorbitori’ del colesterolo intestinale, sensibili a quello consumato con gli alimenti, faranno bene a ridurne le quantità quanto più possibile, in soggetti ‘sintetizzatori’ che fabbricano il proprio colesterolo a livello epatico, dunque pochissimo sensibili a quello contenuto negli alimenti, limitarne il consumo non ha senso. Mentre in merito alle carni processate, la famigliarità con eventi cardiovascolari (un infarto) deve ‘guida’ le differenti indicazioni al consumo di questo specifico alimento.

«Secondo dati molto recenti – conclude Poli – gli alimenti possono far bene a qualcuno, male ad altri e non avere alcun effetto su un terzo gruppo di persone. Dare, quindi, un’indicazione generalizzata che dovrebbe andar bene a tutti, finisce per non servire a nessuno». Dunque? Nel prossimo futuro ci si attende l’elaborazione di test genetici sui polimorfismi che consentiranno di ‘personalizzare’ sul paziente un approccio dietetico sempre più puntuale.

Fonti:

  • Global, regional, and national burden of stroke and its risk factors, 1990–2019: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2019, GBD 2019 Stroke Collaborators. Lancet Neurol, 2021 Oct; 20(10): 795–820. doi: 10.1016/S1474-4422(21)00252-0
  • Global burden of 87 risk factors in 204 countries and territories, 1990-2019: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2019. GBD 2019 Risk Factors Collaborators. Lancet. 2020 Oct 17; 396(10258): 1223–1249. doi: 10.1016/S0140-6736(20)30752-2