Intervista ad Alberto Donzelli: «Ad oggi esistono terapie precoci utili. Il vaccino è gravato da effetti avversi e con perdita di efficacia nel tempo. Un campanello di allarme i dati di Euromomo sull’aumento di mortalità nel 2021 in fasce di età giovane-adulta»

La Commissione medico-scientifica indipendente (Cmsi), costituitasi a Milano il 20 novembre 2021, ha inviato nelle scorse settimane una richiesta formale al Ministero della Salute, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e all’Istituto superiore di sanità per aprire subito un confronto scientifico pubblico e istituzionale con il Cts del Ministero della Salute su dati ufficiali e strategie sanitarie in atto in ambito Covid.
Cinque i punti prioritari sotto i riflettori:

  • mortalità totale nei Rct con vaccini a mRna e andamenti della mortalità totale 2021 vs 2020 e precedenti (Euromomo, Istat);
  • vaccini anti-SARS-CoV-2 e (non) prevenzione dell’infezione;
  • rischi della vaccinazione in età pediatrica;
  • bambini e adulti non vaccinati (vs vaccinati) e rischi relativi di infezione per la comunità;
  • necessità di sorveglianza attiva, non solo della sorveglianza passiva in Italia.

Alberto Donzelli, esponente della Cmsi, è medico e specialista in Igiene e Medicina preventiva e in Scienza dell’Alimentazione, già direttore sanitario e membro del Consiglio superiore di sanità. Nelle scorse settimane ha spiegato con dovizia di particolari le contraddizioni della strategia in atto sul Covid.

Alberto Donzelli, medico e specialista in Igiene e Medicina preventiva e in Scienza dell’Alimentazione, già direttore sanitario e membro del Consiglio superiore di sanità, esponente della Commissione medico-scientifica indipendente (Cmsi)

Come dobbiamo prendere i numeri sui decessi Covid? Sembrano tanti, ma se si va a vedere i morti attribuiti all’influenza nel 2016-2017 questi sono stati 25mila, in base a uno studio Iss [1] che vede la firma anche dal professor Walter Ricciardi: una media giornaliera di circa 140 nei sei mesi della malattia stagionale.

Covid-19 non è la principale causa di morte prevenibile; ci sono altre cause di cui non ci si cura un granché. Per esempio, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dice che nel mondo ci sono stati circa 3 milioni di morti all’anno per Covid, a fronte di 3,2 milioni di decessi per insufficiente attività fisica, 4,7 milioni per conseguenze dell’obesità, 7 milioni per l’inquinamento atmosferico, 8,2 milioni per fumo attivo e passivo. Qualche centinaio di morti al giorno in Italia per Covid sono sempre tanti, ma in una giornata invernale in Italia ne muoiono duemila. I morti da Covid hanno poi colpito soprattutto le fasce anziane o molto anziane di soggetti con multiple malattie croniche: fumo, inattività fisica, obesità, alimentazione non salutare. I maschi italiani morti da Covid avevano mediamente 3,6 patologie croniche e le donne quasi quattro.

Per quanto riguarda i numeri dell’influenza che ha citato, questi riguardano in realtà quelli relativi alle sindromi influenzali, che includono centinaia di virus (rinovirus, vari coronavirus, adenovirus, metapneumovirus, virus respiratorio sinciziale, della parainfluenza…), per i quali non abbiamo vaccini. I quattro virus che determinano l’influenza vera e propria rappresentano una piccola parte.

Uno studio dell’Iss [2] aveva infatti certificato che solo il 2,9% era morto senza patologie note.

La Fiaso ha da poco stimato che circa un terzo di morti attributi a Covid-19 sarebbe relativo ad altra causa: si tratta di persone che sono andate in ospedale per ictus, infarto o altro e risultate positive al tampone. Cosa piuttosto facile se si è con difese immunitarie indebolite in ambiente a rischio, con una variante molto infettiva come Omicron. Le disposizioni, comunque, prevedono che in questi casi vengano conteggiati come morti da Covid e non con Covid.

L’Italia è poi tra i Paesi con maggior numero di infezioni contratte in ospedale: la stima è di circa 50mila decessi.

Il numero è forse un po’ sovrastimato, ma è certo che l’Italia è per esempio tra i Paesi con maggiori decessi per resistenze agli antibiotici, circa 11mila all’anno quelli stimati.

Il Ministero della Salute ha continuato a ignorare le terapie precoci puntando solo sul vaccino. Eppure ci sono studi, e lei li ha divulgati, che dimostrano che alcuni principi attivi possono essere efficaci con una riduzione della mortalità tra il 70 e l’88% rispetto ai gruppi di controllo, con le stesse.

Sono ricerche su diverse sostanze, che ho selezionato con criteri filtro espliciti: ricerche randomizzate controllate (RCT) a favore e possibilmente nessuna contraria (unica eccezione l’ivermectina, che ha più di 30 RCT, di cui la maggioranza favorevole e 4-5 con risultati sfavorevoli). Devono poi avere anche studi osservazionali a favore e altri quattro criteri: essere assolutamente sicure, economiche, avere plausibilità biologica per l’azione che sono chiamati a svolgere e non avere alle spalle conflitti di interessi degli autori, né mega sponsor commerciali. Con questi criteri ho selezionato una decina di principi attivi e ho guardato anzitutto all’esito più importante: la mortalità totale. Ci sono almeno cinque prodotti che hanno dimostrato di ridurla in maniera importante.

Lo iodopovidone, per esempio, l’ha ridotta dell’88%: è un disinfettante cui non resiste alcun tipo di germe, né virus né batteri. Poi il cumino nero, di poco inferiore, quindi la melatonina e la curcumina (che è presente nella curcuma nella misura del 10% rispetto al suo peso e il cui assorbimento viene favorito dall’aggiunta di una piccola quantità di pepe nero). In ogni caso, le informazioni che ricorderò vanno riportate al medico curante, e le sostanze che cito, le quali hanno dato ottimi risultati in ricerche valide, vanno assunte solo di intesa con il proprio medico, non senza coinvolgerlo. Se i curanti avessero bisogno di confrontarsi, sono disponibile a discuterne velocemente con loro.

Come va assunto lo iodopovidone?

Va preso dal primo momento in cui si hanno dei sintomi: bastano per 10 giorni due gocce per occhio diluite all’1% (si trova in farmacia come collutorio all’1% o come Betadine al 10%, ma in questo caso va diluito di 10 volte con acqua); 4 gocce per narice, uno sciacquo facendo gargarismi e sputando, perché è per uso esterno; il tutto va ripetuto ogni 4 ore. Nella ricerca che ha ridotto dell’88% la mortalità è stato assunto per 4 settimane, ma con le conoscenze di oggi basterebbero 10 giorni, con risultati molto importanti perché, ripeto, nessun germe resiste a questa sostanza.

Del budesonide ne aveva parlato anche il professor Remuzzi.

È un cortisonico, che può essere impiegato anche per l’asma. Ha avuto buoni risultati. Sono però cauto sull’utilizzo immediato di antinfiammatori, in particolare cortisonici: si è visto che quelli a uso sistemico, se usati presto, possono aumentare la mortalità anziché ridurla. Il cortisone è invece importante quando c’è bisogno del supporto di ossigeno. Il budesonide è stato impiegato in modo precoce: dalla settima giornata ha dimostrato di ridurre ricoveri e mortalità, in particolare in soggetti con alto stato infiammatorio di base. Rispetto ad altri cortisonici ha il vantaggio di essere inalato e di andare ad agire dove anzitutto serve, nel polmone, contro la tempesta citochinica, che si può scatenare dopo 7-10 giorni se le difese di superficie delle prime vie respiratorie non sono riuscite a fermare il virus, che è sceso in quantità negli alveoli polmonari.

Nel suo elenco c’è anche l’indometacina, alla base del protocollo di cura [3] elaborato dal professor Serafino Fazio.

È l’unico tra gli antinfiammatori non steroidei, a mia conoscenza, di cui esiste un RCT effettuato in India, con esiti ottimi. In questo caso non ci sono stati morti. Si sono controllate otre duecento persone che usavano terapie di base: in aggiunta, il gruppo sperimentale prendeva dalla terza giornata indometacina; quello di controllo il paracetamolo. È stato un confronto impietoso: quelli del gruppo indometacina sono guariti prima, con meno sintomi e nessuno ha avuto bisogno di supporto di ossigeno. Ben 20 soggetti che hanno preso paracetamolo hanno avuto una desaturazione di ossigeno, e avuto bisogno di ossigeno e supporto ventilatorio.

Uno dei punti stridenti è la mancata farmacovigilanza attiva. I dati del v-safe americano dicono che i numeri italiani dovrebbero essere molto più alti rispetto ai 15mila casi gravi e 600 decessi (di cui 16 attribuibili), segnalati da Aifa.

Nel 9° Rapporto Aifa, la farmacovigilanza passiva riporta reazioni avverse (di qualsiasi grado) 580 volte inferiori rispetto a quelle che sono state rilevate dal v-safe, sistema di sorveglianza (semi-)attiva degli Usa, che ha pubblicato i dati il 28 ottobre 2021. Andando a vedere quelle inabilitanti, “severe”, di terzo grado (che impediscono nelle giornate in cui si manifestano di lavorare o svolgere qualsiasi attività, che richiedono cure mediche e in alcuni casi ricoveri) sono più di mille volte maggiori di quelle rilevate da Aifa ogni 100mila dosi somministrate. Oltre un quarto dei soggetti trattati con vaccino a mRna nella 2a dose ha avuto reazioni severe secondo v-safe: su 1milione di somministrazioni, circa 280mila hanno dato reazioni definite severe, seppur non persistenti nella gran parte dei casi.

Si è parlato di estate dei malori, che avrebbero colpito molti giovani. Dai dati Europei del 2021 di EuroMoMo emerge un sorprendente aumento della mortalità nei soggetti dai 15 ai 65 anni. Anche in Italia si rileva per esempio nella fascia 30-39 anni un aumento del 4,9% dopo un decennio di calo. C’è una correlazione con le vaccinazioni?

In EuroMoMo confluiscono i dati di 32 Paesi, tra cui anche Israele. Nel complesso nel 2021 le morti sono lievemente inferiori al 2020. A differenza di quello che ci sarebbe aspettato, tuttavia, si vede che per una serie di fasce di età ci sono più morti che nel 2020. Non è il caso dei grandi anziani, ma dai 15 ai 65 anni. Alcuni autori hanno poi rilevato che in Paesi europei ci sono associazioni con campagne vaccinali che precedevano gli aumenti di mortalità. Associazione non vuol dire causa, ma sono campanelli d’allarme che meritano comunque di essere indagati con urgenza. Anche in Italia c’è un’evidente inversione di tendenza, per esempio, tra 30 e 39 anni, proprio in relazione a campagne vaccinali. Al Cts abbiamo chiesto di approfondire questi dati allarmanti sulla mortalità nel 2021 e trovare spiegazioni convincenti.

L’ad di Pfizer ha annunciato un vaccino tarato sulla Omicron in primavera (sarebbe la quarta dose) e un richiamo annuale. Può il sistema immunitario sopportare un carico di questo tipo?

In base a quello che emerge da studi internazionali, inglesi prima e danesi e canadesi poi, per quanto riguarda l’infezione c’è un effetto paradosso. All’inizio si è sostenuto che i vaccini proteggessero quasi completamente dall’infezione, con immunità sterilizzante. Ciò è quasi vero nel primo mese, ma poi declina rapidamente e si perde nel giro di qualche mese. Con la variante Omicron il fenomeno si è accelerato. In una ricerca sulla popolazione danese, la protezione dall’infezione a tre mesi va vicina allo zero con i vaccinati Pfizer e Moderna e poi si inverte, diventa negativa, in maniera pesantissima con Pfizer, sotto del 76,5% e quasi del 40% con Moderna rispetto al livello dei non vaccinati. C’è una tendenza alla ripresa con la terza dose, che dà una protezione simile a quella iniziale. Anche qui, però, si sta vedendo che declina rapidamente. La cosa fondamentale non è quanta protezione si genera, ma quanto persiste. Se si pensa di inoculare un vaccino ogni tre mesi per avere questo risultato, allora si deve tenere in conto sia il carico di effetti avversi, sia il plausibile indebolimento e danno del sistema immunitario, che è abbastanza clamoroso andando a vedere la tendenza dei dati inglesi fino ai più recenti. Anche Ema timidamente comincia a prendere le distanze, e anche qualche membro del Cts comincia dirlo, ma le avvisaglie c’era già da mesi.

Si dice che i tamponi rapidi non rilevino nel 40% dei casi Omicron. Eppure la Cmsi sostiene che darebbe più garanzie un tracciamento ripetuto con i tamponi rapidi rispetto a quelli molecolari, che tra l’altro possono dare falsa positività [4], se impiegano alti cicli di amplificazione. Tanto che i Cdc USA hanno chiesto ai laboratori americani di abbandonare il sistema della Pcr a vantaggio di sistemi multiplex, per evitare falsi positivi a causa della possibile reazione incrociata con i virus influenzali e altri coronavirus [5].

Sui tamponi il discorso va ricondotto alla scienza. La Pcr è molto sensibile ma quello che rileva, soprattutto se amplificato troppo, può anche non essere SARS-CoV-2, ma effetti di reazioni incrociate. Il multiplex consente ad esempio di rilevare se è un’infezione influenzale o da Covid. Inoltre la Pcr non ci dice con sicurezza se il soggetto è ancora contagioso. Sappiamo che il soggetto che si è infettato, se non è immunodepresso, resta contagioso per un massimo di 9 giorni dai sintomi, non di più. Può continuare a emettere frammenti di materiale genetico virale, ma non è più in grado di infettare. Il test antigenico è meno sensibile, ma è in grado di rilevare virus “vitali”. Gli si attribuisce oggi una sensibilità del 75%, dunque non rileva un infetto su quattro. Se lo paragoniamo al vaccinato, quest’ultimo va meglio solo nel primo mese (e con Omicron forse nemmeno).

In Danimarca con il vaccino Pfizer si è rilevata una protezione media dall’infezione intorno allo zero in 4 mesi. Qualsiasi risultato dato dal test antigenico è pertanto meglio di zero. In ambienti lavorativi a rischio un tampone ripetuto ogni settimana, o persino ogni due giorni, potrebbe essere una soluzione migliore rispetto all’obbligo di vaccinazione. La ripetizione ogni settimana del test in breve tempo surclassa la protezione offerta dal vaccino, se si continua a credere che questa duri 6-9 mesi.

Ha senso inseguire gli asintomatici? L’Oms ha avvisato più volte che sono inutili gli screening a tappeto in assenza di sintomi.

Seguire gli asintomatici oggi non è più utile e denota una mancanza di vision. C’è un vaccino gravato da importanti effetti avversi con una perdita di efficacia nel tempo. Per giovani e bambini asintomatici o paucisintomatici, si dovrebbe cambiare strategia.

I guariti si devono vaccinare? Ci sono ormai molti studi che lo sconsigliano, tra cui uno apparso su Nature [6]. Tra le tante voci critiche è intervenuto recentemente anche Paolo Gasperini, ordinario di Genetica medica all’Università di Trieste.

Non c’è necessità scientifica di obbligare alcuno al vaccino e ciò vale in particolare per i guariti: abbiamo fatto questa richiesta al Cts. Il soggetto che ha avuto Covid-19, anche asintomatico o con sintomi non tipici, ha una protezione della malattia grave superiore a quella della doppia vaccinazione (ciò non vale necessariamente per l’infezione e con Omicron anche i guariti si possono reinfettare). La successiva vaccinazione di chi ha avuto l’infezione naturale inizialmente aggiunge un qualche protezione, ma è un beneficio modesto e non duraturo. Soprattutto, potrebbe innescare un deterioramento del sistema immunitario, oltre alla dimostrazione di incorrere in reazioni avverse più importanti nell’immediato.

Siamo alla fine dell’epidemia?

I dati americani su 53mila soggetti infettati con Omicron, confrontati con 17mila soggetti con Delta, dicono che Omicron ha dato meno della metà dei ricoveri e che sono comunque risultati assai più brevi; un quarto degli accessi in terapia intensiva e 11 volte meno morti. Non è ancora un raffreddore, ma è certo molto meno pericoloso della variante Delta. Se si usano le precauzioni normali per evitare infezioni con grandi cariche virali e si fa uso precoce di sostanze che hanno dato benefici in ricerche valide, si può guardare al futuro con ragionevole serenità.

Fonti:

  1. Rosano A, Bella A, Gesualdo F, Acampora A, Pezzotti P, Marchetti S, Ricciardi W, Rizzo C. “Investigating the impact of influenza on excess mortality in all ages in Italy during recent seasons (2013/14-2016/17 seasons)”. Int J Infect Dis. 2019 Nov;88:127-134. doi: 10.1016/j.ijid.2019.08.003. Epub 2019 Aug 8. PMID: 31401203.
  2. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-decessi-italia
  3. Fazio S, Bellavite P, Zanolin E, McCullough PA, Pandolfi S, Affuso F. “Retrospective Study of Outcomes and Hospitalization Rates of Patients in Italy with a Confirmed Diagnosis of Early COVID-19 and Treated at Home Within 3 Days or After 3 Days of Symptom Onset with Prescribed and Non-Prescribed Treatments Between November 2020 and August 2021”. Med Sci Monit. 2021 Dec 30;27:e935379. doi: 10.12659/MSM.935379. PMID: 34966165; PMCID: PMC8725339.
  4. https://www.nytimes.com/2020/08/29/health/coronavirus-testing.html
  5. https://www.cdc.gov/csels/dls/locs/2021/07-21-2021-lab-alert-Changes_CDC_RT-PCR_SARS-CoV-2_Testing_1.html
  6. Wei, J., Matthews, P.C., Stoesser, N. et al. “Anti-spike antibody response to natural SARS-CoV-2 infection in the general population”. Nat Commun 12, 6250 (2021). https://doi.org/10.1038/s41467-021-26479-2