Scienza, conoscenza e tecnologie, dal device all’Intelligenza Artificiale. Un trinomio che appare imprescindibile e indissolubile da qui e nel prossimo futuro per garantire migliori e più accurate opportunità, diagnostico-terapeutiche oggi offerte dalla ricerca, applicate a contesti di prevenzione primaria, secondaria e in ambito riabilitativo.

Le tecnologie possono aiutare le persone a perseguire comportamenti “sani e longevi” in maniera più responsabile e consapevole, a supportare progetti di ricerca e la pratica clinica, possono permettere di strutturare obiettivi di cura “fenotipizzati” sul paziente in un’ottica di medicina non solo di precisione e personalizzata ma predittiva e preventiva. È quanto emerge dal Milano Longevity Summit, in corso fino al 27 marzo prossimo.

IA al servizio della salute

In costante crescita ed espansione, i sistemi di IA potranno espandere, affinare, massimizzare le opportunità di cura, accelerando i processi diagnostici, “ispirando” la ricerca a esplorare zone ancora grigie, grazie all’utilizzo di Big Data, raccolti e analizzati con efficienza e rapidità, potranno aiutare a dare riposte, a educare il singolo alla correzione di comportamenti individuali. Azioni che hanno, tutte, un unico obiettivo: allungare la sopravvivenza, in qualità non solo in quantità.

Questa visione e la comprensione dell’importante apporto legato alle tecnologie modifica anche il concetto di dato: non più riferito solo alla “pluralità”, cioè a macrocluster di popolazione o di pazienti ad esempio, ma al dato del singolo individuo. Una “rivoluzione” quest’ultima che permetterà, nel prossimo futuro (e già la scienza si sta muovendo in questa direzione) di comprendere non solo aspetti di ordine clinico-sanitario, ma anche i meccanismi di biologia dell’organismo, studiandoli e personalizzandoli ad personam.

«Uno stato di fatto – spiega Jamie Matzel, esperto in IA e biotecnologie – che porterà anche alla transizione da una sanità generalizzata, specialistica a una medicina di precisione e quindi da una medicina di precisione a una medicina preventiva e di predizione/previsione, grazie appunto alla conoscenza della biologia, in alcuni casi “forzando” la biologia innata o provando a modificarla in qualche misura con interventi su stili di vita e comportamenti corretti, come programmi di esercizio fisico, interventi dietetici, processi di training cognitivo.

Ciò implicherà che anche i sistemi di IA, sviluppati da qui e per il futuro sia multimodali, non riferiti cioè soltanto ad abilità cerebrali o del linguaggio, ma alle molte altre funzioni biologiche. La migliore comprensione della biologia permetterà di studiare terapie genetiche, di avviare trial clinici innovativi, arrivando a somministrare terapie basate sulla genetica individuale.

Il futuro della medicina è orientato all’alleanza fra l’uomo e macchine di AI che lavoreranno in sinergica interazione per definire strumenti che favoriscano per la migliore longevità, inseriti anche in un contesto di sanità pubblica, salubrità, vita di comunità e ogni altra azione che possa contribuire ad allungare la vita. Hackerare la biologia, impatterà anche sulla sostenibilità per il sistema, primo fra tutti il contenimento dei costi di salute pubblica».

Applicazione della IA

Neurologia, è uno degli ambiti in cui tecnologie e IA potranno dare il migliore apporto. A fronte, infatti, dell’aumento dell’età media delle patologie neurodegenerative è cresciuta l’evidenza che almeno una selezione di malattie che interessano il sistema nervoso, e fra queste il deterioramento cognitivo, possono beneficiare di interventi mirati.

«Studi condotti su centenari – dichiara Christian Lunetta, responsabile del dipartimento di Riabilitazione Neurologica degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri IRCCS – attesterebbero che i fattori legati allo stile di vita, e quindi la correzione degli stessi, hanno i maggiori effetti sulla longevità: l’esercizio fisico che favorisce la produzione di sostanze capaci di intervenire sul sistema nervoso, fattori nutrizionali (qualità, quantità e orario di assunzione del cibo), cui sembra associarsi la riduzione di demenza e declino cognitivo, la qualità e durata sonno, durante il quale vengono drenate molteplici sostanze tossiche, le attività sociali, e all’opposto il rischio cardiovascolare, la sarcopenia associata inattività fisica, possono accelerare o decelerare il processo di Brain Aging».

«Questo è anche l’obiettivo del progetto Alert-Brain – prosegue Lunetta, che stiamo conducendo presso il nostro dipartimento collaborazione con altri istituti di ricerca, grazie a fondi di un bando europeo.

Il progetto, dedicato a soggetti a rischio per aterosclerosi, patologia che ai associa a declino cognitivo, prevede la strutturazione di percorsi personalizzati, multifattoriali, sui fattori modificabili, governati da un algoritmo».

Uno “strumento”, quest’ultimo, indispensabile sia per la definizione di trattamenti fenotipizzati sul paziente, sia per la raccolta e successiva analisi di dati biologici per la valutazione del condizionamento generato da uno o più interventi sull’epigenetica, fattore altamente impattante sul clock cerebrale.

Gli algoritmi sono stati utili anche per la realizzazione di un tracker da remoto, necessario a registrare alcuni parametri di valutazione/analisi importanti real time mettendo a confronto il diverso impatto di un intervento mirato rispetto allo standard of care o al consiglio di un opuscolo. Possibile la personalizzazione e l’adattamento dell’intervento.

IA in prevenzione

La ricerca intende anticipare questo obiettivo. Sono in corso studi e progetti, presso l’IRCCS San Raffaele di Milano, sempre incentrati sul sistema nervoso, che intendono sfruttare l’IA come strumento di promozione per la diagnosi precoce di malattia, per ricevere e dare al paziente indicazioni sulla progressione della patologia, per intercettare la biologia della malattia stessa prima della manifestazione dei sintomi.

«Ad esempio – conclude Federica Agosta, group leader dell’Unità di Neuroimaging delle malattie neurodegenerative dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e ricercatrice presso l’Università Vita-salute San Raffaele – nella malattia di Alzheimer oggi si è arrivati a costruire ed educare un algoritmo a riconoscere attraverso delle immagini di diversa natura i tratti che tipicizzano questa condizione: l’utilizzo della miriade di dati che verranno raccolti consentirà di educare l’algoritmo a (sapere) predire tramite quella singola immagine, le probabilità di quel singolo soggetto di sviluppare, oppure no la malattia, quali funzioni cognitive potranno essere perse e in quale misura. Azzerando il rischio diagnostico ad oggi ancora esistente».