Nei Paesi occidentali, il cancro del colon-retto ha un’incidenza molto elevata e colpisce prevalentemente persone tra i 60 e i 75 anni; secondo i dati Aiom-Airtum (Associazione Italiana di Oncologia Medica e Associazione Italiana dei Registri Tumori), nel solo 2018 in Italia sono stati diagnosticati circa 28.800 nuovi casi negli uomini e 22.500 nelle donne. A fronte dell’aumento di diagnosi degli ultimi anni, è diminuita la mortalità, grazie alla diagnosi precoce, a cure sempre più mirate e a programmi di screening (ricerca di sangue occulto nelle feci e colonscopia).
Nonostante il trend positivo, negli ultimi anni si è delineata nei Paesi occidentali la tendenza all’insorgenza di questa patologia in soggetti giovani: anche uno studio americano effettuato su circa 500.000 uomini e donne dimostra, accanto a una riduzione dell’incidenza del cancro del colon-retto nei soggetti di età pari o superiore ai 55 anni (grazie ai programmi di screening), un incremento di questo tipo di tumore al di sotto dei 50 anni, con un picco di aumento soprattutto nella fascia di età compresa tra i 20 e i 29 anni. Risultati analoghi emergono da uno studio condotto tra 188 mila giovani in 20 paesi europei, che dimostra un aumento dell’incidenza della patologia nella fascia 20-39 anni.
A lanciare in Italia l’allarme sono gli esperti della Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva (Sige), che riporta i risultati di un recente studio condotto a Milano, il quale evidenzia un aumento dell’incidenza del cancro del colon-retto in soggetti di età inferiore ai 50 anni nel periodo 1999-2015.
Negli USA, l’evidenza di tali dati epidemiologici ha spinto l’American Cancer Society (Acs) a modificare le linee guida, anticipando l’effettuazione dello screening a partire dai 45 anni di età.
Le cause
Il maggior numero di diagnosi, anche al di sotto dei 50 anni, è dovuto all’affinamento delle tecniche diagnostiche e a un maggior accesso allo screening.
Al fine di arginare la tendenza, tuttavia, è necessario identificare i fattori scatenanti che inducono l’insorgenza della patologia in soggetti di giovane età.
Nei Paesi occidentali, sicuramente l’incremento di questa forma tumorale è correlabile allo stile di vita e all’alimentazione: scarso consumo di frutta e verdura, abuso di carni rosse e processate, sedentarietà sono fattori sicuramente correlati a un maggior rischio di sviluppare la patologia. Un dato allarmante riguarda anche i crescenti casi di sovrappeso e obesità tra bambini e adolescenti, che assume sempre più i contorni di un’emergenza sanitaria.
Obesità infantile: un fenomeno in crescita
Nel corso degli ultimi 40 anni è emerso un preoccupante aumento dell’obesità infantile in tutto il mondo: dall’analisi dei dati di 2.416 studi di popolazione condotti in tutto il mondo (per i quali si disponeva delle misurazioni relative ad altezza e peso), si evince un significativo aumento dell’indice di massa corporea in soggetti di età compresa tra 5 e 19 anni nel periodo 1975-2016. Da un’analisi condotta nel 2017 (NCD Risk Factor Collaboration [NCD-RisC] et al. 2017), emerge che nel 2016 i bambini e gli adolescenti obesi nel mondo erano in totale 123 milioni. Parallelamente, la Childhood Obesity Surveillance Initiative (COSI) dell’OMS ha condotto uno studio su 21 paesi europei, analizzando bambini di età compresa tra i 6 e i 9 anni: su un totale di 13,7 milioni, il 2,9% (398.000) dei soggetti era affetto da una grave forma di obesità. In Europa, i livelli più elevati di obesità infantile si registrano nella zona meridionale, soprattutto tra i soggetti di sesso maschile.
Obesità infantile in Italia
Nel nostro Paese, la prevalenza complessiva di sovrappeso, obesità e obesità grave nei bambini tra 6 e 9 anni si aggira intorno al 43%.
A seguito di un’indagine condotta nel 2016 tra bambini di 8-9 anni, ‘OKkio alla salute’ (il ‘Sistema di Sorveglianza nazionale sullo stato ponderale e i comportamenti a rischio nei bambini’ dell’Istituto Superiore di Sanità) ha registrato una prevalenza di sovrappeso e obesità più elevata al Centro-Sud. La situazione peggiore è in Campania, dove il 26,2% dei bambini di questa età è in sovrappeso, il 13,22% è obeso e il 4,7% è affetto da obesità grave. Seguono Calabria, Molise, Basilicata, Sicilia, Puglia, Lazio, Abruzzo e Marche.
A livello nazionale, la media italiana registra una percentuale del 21,3% di bambini in sovrappeso, mentre il 7,2% di questi è obeso e l’1,2% gravemente obeso.
Le madri con livello di istruzione medio-basso hanno una probabilità maggiore di crescere figli affetti da obesità grave, rispetto alle donne più istruite. Inoltre, i bambini non allattati al seno per almeno 6 mesi evidenziano una prevalenza di sovrappeso/obesità molto maggiore (16,8%) rispetto a coloro che sono stati allattati al seno (9,3%).
Si rivela di fondamentale importanza elaborare programmi di prevenzione dell’obesità per queste fasce d’età, al fine evitare che la patologia possa determinare conseguenze negative in età adulta: sovrappeso e obesità insorti in età evolutiva, infatti, tendono a persistere in età adulta, favorendo la comparsa di patologie cardiovascolari, diabete tipo 2 e alcuni tumori, tra cui il cancro del colon-retto.
Urge un’azione che contrasti e inverta questa pericolosa tendenza, con iniziative che coinvolgano i giovani ma anche le loro famiglie, per fornire loro gli strumenti utili a combattere il fenomeno.
Lo si evince anche dalle parole del professor Domenico Alvaro, presidente della Sige: “a scendere in campo per queste iniziative devono essere non solo le società scientifiche ma anche le scuole, dove sono diventanti improcrastinabili programmi educazionali volti ad insegnare ai nostri bambini ed adolescenti i corretti stili di vita oltre che le nozioni basilari di come si possono prevenire malattie ad alto impatto sociale”.
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