Un convegno mondiale sulle terapie precoci contro Covid-19

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All’International Covid Summit 2021 medici e ricercatori di fama internazionale hanno raccontato le loro positive esperienze sul campo nella cura dei pazienti, con protocolli confermati anche da studi peer-reviewed. Presentata anche un’App per curare la malattia a distanza

L’International Covid Summit, che si è svolto dal 12 al 14 settembre 2021 a Roma, presso la Sala Capitolare del Senato, è stato il Primo Convegno Mondiale sulle Terapie Precoci per il Covid 19. Ha richiamato ricercatori e medici da tutto il mondo, che hanno illustrato come il Covid si possa contrastare anche con terapie domiciliari basate su cure precoci e farmaci già disponibili sul mercato e a basso costo. L’evento, promosso dall’associazione Ippocrate.Org, ha avuto una risonanza mondiale e può contribuire a sviluppare un’azione sinergica nel contrasto alla pandemia.

Tra i relatori sono intervenuti alcuni medici, impegnati in prima linea sin dall’inizio dell’esplosione della malattia, che hanno riscontrato risultati positivi nel campo delle terapie domiciliari precoci, confermati anche da studi peer-reviewed. Il più noto in Italia è quello pubblicato [1] su EclinicalMedicin (rivista che fa capo a The Lancet) e che vede tra gli autori Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs e Fredy Suter, primario emerito dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Nello studio retrospettivo, 90 pazienti trattati con l’algoritmo proposto, elaborato in collaborazione con un gruppo di medici di base di Varese, Bergamo e Teramo, sono stati confrontati con 1.779 pazienti trattati con altri regimi terapeutici. Il risultato principale è che con la strategia basata su antinfiammatori non steroidei (Fans) inibitori della COX-2, come celecoxib e nimesulide, ci sono stati meno ricoveri ospedalieri (2%) della coorte trattata principalmente con paracetamolo (14%); l’abbattimento delle ospedalizzazioni è stato pertanto dell’85%. L’aspetto fondamentale di questo approccio è di intervenire tempestivamente ai primi sintomi della malattia, altrimenti si può correre il rischio che la situazione si aggravi (soprattutto in soggetti con comorbidità).

Nel caso gli antinfiammatori non bastino a controllare la malattia, si passa ad altri farmaci, ma prima occorre eseguire delle analisi del sangue che misurino alcuni parametri, tra cui il d-dimero e proteina C reattiva. «Il d-dimero, in particolare, è un metabolita del trombo e si è visto che la proteina Spike, sia a seguito del Covid sia a seguito della vaccinazione, tende ad alzarlo notevolmente: innescherebbe, infatti, meccanismi di micro-trombosi» ha osservato Serafino Fazio, professore associato di Medicina interna all’Università Federico II di Napoli, nel Comitato terapie domiciliari Covid-19.

Work in progress

Questo non è l’unico protocollo. Una preziosa ricerca della fondazione David Hume ne ha ricordato altri che hanno mediamente ridotto le ospedalizzazioni oltre l’80%. Tra questi, per esempio, quello [2] elaborato dal professor Peter McCullough, cardiologo e docente universitario. Il trattamento si basa su una progressione dei farmaci in base ai sintomi. Tra questi, l’uso immediato di idrossiclorochina, impiegata da 40 anni per la profilassi antimalarica, più azitromicina, un antibiotico. La cura precoce con un approccio multi-farmaco riduce, in base a quel protocollo, dell’85% ospedalizzazioni e morti.

Quello che emerge dalle varie ricerche è la necessità che i medici di famiglia seguano i pazienti giorno dopo giorno per avere risultati ottimali. Un altro studio, seppur piccolo, svolto da ricercatori australiani e inglesi e pubblicato su Lancet [3], ha dimostrato che un preparato anti-asma a base di budesonide, somministrato come spray nasale entro 7 giorni dalla comparsa dei sintomi, riduce dell’80% le ospedalizzazioni. Promettente è pure uno sciroppo della tosse a base di bromexina. Questa inibirebbe l’enzima (Tmprss2) che consente alla proteina Spike di legarsi al suo recettore: «Chi lo prende da subito non va in ospedale quasi mai e non muore» ha detto il professor Remuzzi.

In altri protocolli si utilizza l’ivermectina, che, come ricorda la fondazione Hume, «riduce la carica virale del SARS-CoV-2 del 99,8% in sole 24 ore e la mortalità in media del 62%, secondo una meta-analisi di 15 paper scientifici e del 75% secondo un’altra recente rassegna». Su questo antiparassitario impiegato a uso umano anche per il trattamento per specifici disturbi della pelle, tra cui la scabbia, sono in corso almeno 20 studi, tra cui quello promettente di Zeno Bisolfi e dei suoi collaboratori dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), ma off-label ha dimostrato efficacia anche contro il Covid.

Il ruolo della nutraceutica

Importanti, poi, le indicazioni sui nutraceutici, che possono svolgere sia un ruolo di prevenzione sia attenuare l’infezione, associandoli a una terapia farmacologica mirata. In base alla letteratura internazionale, hanno dimostrato efficacia curcumina, quercetina, esperidina, lattoferrina, epigallocatechina gallato (presente nel tè verde) e zinco.

Sull’azione della vitamina D nel modulare il sistema immunitario sono ormai moltissimi gli studi che ne confermano l’utilità. Tanto più che in Italia c’è una manifesta insufficienza, se non carenza, nel periodo invernale in larghi strati della popolazione. In soggetti con co-morbidità, un trattamento con colecalciferolo fa diminuire dell’80% i decessi o i trasferimenti in terapia intensiva, secondo uno studio che ha riguardato 91 pazienti, coordinato dall’Università di Padova con il supporto delle Università di Parma, Verona e gli Istituti di Ricerca Cnr di Reggio Calabria e Pisa e pubblicato sulla rivista Nutrients. Il trattamento con calcifediolo ha ridotto del 60% la mortalità nei pazienti ospedalizzati con Covid-19, secondo una ricerca spagnola condotta su un totale di 930 pazienti ricoverati nelle unità Covid dell’Hospital del Mar di Barcellona tra il primo marzo e il 31 maggio 2020.

È fondamentale poi la cura del microbiota, che può giocare un ruolo importante nello sviluppo delle forme gravi della malattia [4]. Che ci sia un asse gut-brain è ormai conclamato, di qui l’importanza del mantenimento dei ceppi dei batteri “buoni” responsabili della produzione di acidi grassi a catena corta con effetto antinfiammatorio (come il butirrato). Vanno alimentati con una dieta ricca di prebiotici e assunzione di polifenoli, oltre che una eventuale integrazione di probiotici o postbiotici.

È da rilevare che anche i polmoni, a differenza di quanto si riteneva in passato, ospitano un loro microbiota, che negli individui sani è costituito da Prevotella, Streptococcus e Haemophilus. Anche i batteri polmonari inviano informazioni all’intestino per mantenerlo sano [4]. «Esistono ceppi maggiormente studiati (anche in età pediatrica) nella prevenzione di patologie respiratorie del tratto superiore (per esempio faringiti) come lo Streptococcus salivarius K12» sottolinea Arrigo Cicero, medico e professore di Scienze tecniche dietetiche applicate presso l’Università di Bologna e presidente della Società italiana di nutraceutica (Sinut).

Una app per agevolare le cure

Durante il Summit è stato comunicato anche il lancio di Covid Healer, una app per le cure precoci, diffusa in tantissime lingue, in grado di mettere in rete i medici e curare a distanza i pazienti in tutto il mondo. «In tal modo, sarà facile per il paziente trovare un medico che può curarlo – ha riferito Andrea Stramezzi – e potrà anche indicare un’organizzazione di preferenza. Sarà lui stesso a riempire la cartella clinica. L’app avviserà con un alert, personalizzabili dal medico, per esempio, se la saturazione è scesa sotto una certa percentuale. Potremo curare contemporaneamente molti pazienti. L’applicazione ci dirà in tempo reale l’efficacia delle molecole usate».

Stramezzi è uno di quei medici che per primi hanno curato il Covid a casa e ha ricordato che ha curato da solo 1.400 pazienti, di cui 450 in ospedale, senza un decesso. La tempestività si è dimostrata l’elemento chiave nelle cure precoci. Il Comitato terapie domiciliari Covid-19 interviene, per esempio, entro 72 ore senza attendere l’esito del tampone. «Ho curato circa 250 pazienti e per gli ultimi 64 ho adottato una terapia che ho costruito in base alla mia esperienza di 47 anni di professione. Tutti sono guariti e nessuno è finito in ospedale, con sintomi che scompaiono in media in 5 giorni» ha ricordato Serafino Fazio, professore associato di Medicina interna all’Università Federico II di Napoli, che fa parte del Comitato terapie domiciliari Covid-19.

Bibliografia

  1. https://www.thelancet.com/journals/eclinm/article/PIIS2589-5370(21)00221-2/fulltext
  2. McCullough P.A. et al., Rationale for early outpatient Covid-19, American Journal of Medicine, Gennaio 2021
  3. Ramakrishnan S. et al., Inhaled budesonide in the treatment of early COVID-19 (STOIC): a phase 2, open-label, randomised controlled trial, The Lancet, 1 luglio 2021
  4. Alterations in gut microbiota of patients with COVID-19 during time of hospitalization, Gastroenterology, 2020