Caratteristiche, proprietà e azioni. Oltre a supportare le difese dell’organismo, ha diversi effetti benefici su alcune patologie, tra cui diabete di tipo 1, sclerosi multipla e psoriasi
Ad oggi non sono ancora definiti in modo univoco e universale quali siano i livelli sierici normali di vitamina D (VD) e quali quelli di carenza o insufficienza. Diverse società scientifiche considerano sufficienti valori uguali o superiori a 75 nmol/L (30 ng/mL), misurati alla fine dell’inverno o inizio primavera. L’insufficienza viene classificata tale quando i livelli scendono tra 50 e 74 nmol/L (20-29 ng/mL), mentre la carenza è definita da valori inferiori a 50 nmol/L.
Dal punto di vista genomico, vi è una notevole differenza tra individui, con una risposta personalizzata alla vitamina D, come dimostrato da due importanti studi (VitDmet e VitDbol). I soggetti sono stati suddivisi in tre categorie: alti, medi e scarsi responders. Circa il 25% ha mostrato una scarsa risposta, con bassi valori di VD. Gli appartenenti a questa categoria hanno bisogno di dosi maggiori di vitamina D3 rispetto agli alti responders (50-100 mg contro i 10-20 mg). L’indice di risposta alla vitamina D si è mostrata indipendente dai livelli sierici di 25(OH)D3 dei partecipanti, anche se al momento non si conoscono quali variazioni genomiche o epigenomiche determinino tale indice.
Vitamina D, attività immunomodulanti
La vitamina D promuove la differenziazione dei monociti in macrofagi, stimolando così la fagocitosi dei patogeni e l’espressione dei Pathogen-Recognition Receptors (PRR). Tra questi, i più numerosi sono i Toll-like Receptors (TLR), particolarmente attivi proprio contro il Mycobacterium tuberculosis. L’eterodimero TLR1-TLR2 si lega a una lipoproteina del micobatterio e, una volta attivato, induce la trascrizione dell’IL-1, che a sua volta aumenta l’attività del NFkB via segnalazione intracrina. La vitamina D agisce anche su altri elementi dell’immunità innata, quali peptidi antimicrobici.
L’immunità acquisita
I linfociti T, una volta attivati, esprimono il VDR, ma anche l’enzima CYP27B1, che media la locale attivazione del 25(OH)D in 1,25(OH)2D, in grado di attivare il VDR. La vitamina D prodotta da monociti e macrofagi sposta in maniera netta lo stato immunitario da una risposta proinfiammatoria a uno stato tollerogenico, sopprimendo la proliferazione dei linfociti T, spostando l’equilibrio da Th1 e Th17 a Th2, sopprimendo numerose citochine, quali IFN-γ, TNFα, IL-2, IL-17, IL-21, aumentando invece le citochine legate ai Th2 quali IL-4, IL-5, IL-9, IL-13.
La VD inoltre agisce sui Treg attraverso l’interazione con le Antigen Presenting Cells (APC), con il risultato finale di una riduzione dello stato proinfiammatorio. Un indicatore clinico potrebbe essere il rapporto CD4/CD8, in quanto la somministrazione di VD porta a un aumento di questo rapporto, indicando una soppressione immunitaria. Questa potrebbe essere una delle ipotetiche spiegazioni degli effetti della vitamina D sulle malattie autoimmuni. Un altro motivo potrebbe risiedere nella sua azione sui linfociti B. La vitamina D inibisce, infatti, la formazione delle cellule plasmatiche e induce apoptosi, sia in queste cellule sia nei linfociti B attivati, aumentando, inoltre, la produzione di IL-10, che ha un’attività antinfiammatoria.
Controllando l’azione delle citochine mediate dalle cellule B e la loro trasformazione in cellule plasmatiche, la vitamina D riduce la produzione di autoanticorpi, riducendo così il rischio di disordini autoimmuni.