Vi sarebbero sempre maggiori evidenze che lo sviluppo e l’incremento di sovrappeso e obesità sia dovuto, oltre che a fattori di predisposizione genetica o all’adozione e perpetrazione di scorrette abitudini, stile di vita, diete ipercaloriche, sedentarietà, naturale invecchiamento, anche all’esposizione a sostanze “obesogene” prevalentemente di natura chimica presenti nell’ambiente e/o ingerite attraverso l’alimentazione.

Obesogene

La radice del nome ne spiega il significato: si tratta di sostanze chimiche artificiali in grado di alterare il sistema endocrino, favorendo lo sviluppo di sovrappeso e obesità e quindi anche l’incremento della loro incidenza nella popolazione. Aspetto cruciale è che gli obesogeni sembrerebbero poter trasferire effetti metabolici sull’asse verticale, da madre in figlio, in relazione alla capacità di riprogrammare epigeneticamente i punti di regolazione geneticamente ereditati per il controllo del peso corporeo e della composizione corporea durante i periodi critici dello sviluppo: fetale, i primi anni di vita, la pubertà.

«Studi in modelli animali [1] – spiega Massimo Scacchi, responsabile della UO di Medicina Generale ad indirizzo Endocrino-Metabolico e Direttore del Laboratorio di Ricerche Metaboliche di Auxologico Piancavallo; Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano – hanno dimostrato che alcuni inquinanti ambientali, i cosiddetti interferenti endocrini/obesogeni, sono in grado di favorire la differenziazione di cellule staminali in adipociti, di aumentare il deposito di lipidi in ciascuna cellula adiposa, di alterare i processi endocrini che regolano lo sviluppo del tessuto adiposo, ma anche i meccanismi di fame e sazietà, scelta degli alimenti, spesa energetica a riposo e bilancio energetico.

Ad esempio gli ftalati, che si trovano nella plastica, noti interferenti endocrini con effetti debolmente estrogenici e anti-androgenici, se presenti nelle urine a elevate concentrazioni sembrano associarsi a marker di malattia cardiometabolica come anche di obesità. Oppure donne in gravidanza esposte all’atrazina, un erbicida grandemente utilizzato negli USA, avrebbero un aumentato rischio di sviluppare diabete gestazionale a causa della capacità della sostanza di danneggiare la funzione mitocondriale, inducendo insulino-resistenza e favorendo l’incremento ponderale. Mentre circa la tributiltina è ben documentata la capacità di differenziazione di preadipociti in adipociti, ma anche il potere interferente sull’attività tiroidea. Infine studi di laboratorio evidenzierebbero che la prolungata esposizione agli organofosfati di cui fanno parte insetticidi, erbicidi e antielmintici altera il microbioma intestinale dei topi, favorendo incremento ponderale e insulino-resistenza».

Non meno dannoso il glutammato monosodico, impiegato dall’industria alimentare per la preparazione di patatine, snack salati, cibi congelati e salse: studi su ampie popolazioni cinesi [2] mostrerebbero nei consumatori un rischio di sovrappeso 1.33-2.75 volte maggiore e uno studio tailandese [3] stima un aumento di 1.16 volte del rischio di sovrappeso per ogni grammo consumato in più di glutammato monosodico. Ovvero, si ipotizza che tale sostanza possa ridurre la secrezione di GLP-1, incretina coinvolta nel rilascio di insulina e nell’induzione di sazietà. La lista di interferenti endocrini potrebbe, tuttavia, essere ben più lunga.

Il Bisfenolo A (BPA)

La sostanza è da tempo sotto osservazione; contaminante ambientale ubiquitario, responsabile di interferenza endocrina, correla a un aumentato rischio di malattie cronico degenerative ed in particolare di obesità e diabete «Il BPA – prosegue la professoressa Simona Bertoli, Ordinario di scienze dietetiche applicate presso il Dipartimento di scienze degli alimenti la nutrizione e l’ambiente, Università degli Studi di Milano e Direttore Centro Ambulatoriale Obesità di Auxologico – interagisce con i recettori dell’estradiolo, il più importante tra gli estrogeni umani coinvolto nelle funzioni sessuali e di vari organi e tessuti. L’esposizione inadeguata alla sostanza e durante una finestra temporale impropria può influenzare lo sviluppo e la funzione di più sistemi di organi, compreso il controllo dell’equilibrio energetico e dell’omeostasi del glucosio».

Ad oggi, le principali fonti da cui acquisire BPA sono alimenti in scatola o pronti all’uso e bevande in lattine, che durante la conservazione cedono il BPA all’alimento: differenti studi mostrano che oltre il 90% della popolazione presenta concentrazioni misurabili di BPA il quale essendo lipofilo, può essere immagazzinato anche nel tessuto adiposo. Per tali ragioni, nell’aprile 2023 l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ne ha ridotto significativamente la soglia di assunzione giornaliera tollerabile (DGT) rispetto a quanto precedentemente stabilito.

Al momento solo gli alimenti destinati alla prima infanzia (oltre a biberon e succhietti etc), per legge sono “BPA free”. «Un nostro recente lavoro [4] – precisa Bertoli – dimostra che i livelli plasmatici di BPA sono correlati al grado di obesità e alla distribuzione addominale del grasso, condizione che aumenta fortemente il rischio di sviluppare diabete e malattie cardiovascolari».

Impatto sulla salute

Le risposte alle sostanze chimiche artificiali non sono univoche, appaiono individuali più che di popolazione e dipendenti da diversi fattori: il momento di esposizione (pre-natale, infanzia o età adulta; continui o stagionali), i dosaggi (eccessivi delle sostanze singole o delle miscele di sostanze), le modalità di esposizione (da contatto, con gli alimenti o aerea). «Studi epigenetici – commenta la dottoressa Amelia Brunani, Direttore UO Medicina Riabilitativa di Auxologico Piancavallo – fornirebbero altre informazioni sulla possibilità che gli effetti siano centrali, ad esempio sulla produzione di neurotrasmettitori che stimolano l’assunzione di cibo a livello cerebrale, con effetti di disregolazione del metabolismo energetico. Alcuni studi evidenziano anche un effetto maggior nel sesso femminile per un’interferenza sulla espressione di geni coinvolti nella produzione di estrogeni e nuoci studi stanno indagando la possibilità di trasmissione di un certo tipo di risposta epigenetica tra madre e figlio senza modifica del gene (DNA)».

Le misure da attuare

In relazione ai dati emersi e alle informazioni ad oggi disponibili, appare prioritario mettere in atto azioni dirette all’ambiente e comportamenti individuali per limitare danni e effetti di tali sostanze. «La Commissione Europea e gli Stati Membri– conclude il professor Alberto Battezzati, ordinario, Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente dell’Università di Milano; Direttore UO Nutrizione Clinica – Auxologico Città Studi Icans – dovranno adottare nuove forme di controllo sugli alimenti e prendere provvedimenti per mantenere l’esposizione entro i limiti stabiliti da Efsa: accorciare le filiere alimentari, ridurre l’uso dei pesticidi e minimizzare le procedure di processazione degli alimenti, oltre a migliorare la sostenibilità ambientale può ridurne la contaminazione.

In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un decalogo [5], finalizzato a contenere quanto più possibile l’esposizione a queste sostanze, con benefici per la salute della persona e dell’ambiente:

  • limitare l’uso di plastica monouso (posate, bicchieri, piatti, contenitori);
  • ridurre, ove possibile, l’uso di prodotti in plastica PVC (cloruro di polivinile), considerando eventuali alternative;
  • ridurre il tempo trascorso a giocare con giochi in plastica, inclusi i giochi elettronici;
  • limitare il consumo di cibi pronti (takeaway) se preparati e distribuiti in contenitori di plastica;
  • evitare di utilizzare il microonde con alimenti già conservati in contenitori di plastica e con contenitori non appropriati;
  • una volta scaldati consumare gli alimenti in contenitori diversi dalla plastica;
  • limitare il consumo di acqua confezionata in bottiglie di plastica;
  • limitare l’uso di pellicola per alimenti e comunque utilizzare quella idonea al contatto;
  • promuovere attività sportiva per i bambini;
  • promuovere l’attività fisica negli adulti, sia in palestra che all’aperto prediligendo aree verdi

Bibliografia

  1. Grün F, Blumberg B. Environmental obesogens: organotins and endocrine disruption via nuclear receptor signaling. Endocrinology. 2006 Jun;147(6 Suppl):S50-5.
  2. He K, Du S, Xun P, Sharma S, Wang H, Zhai F, Popkin B. Consumption of monosodium glutamate in relation to incidence of overweight in Chinese adults: China Health and Nutrition Survey (CHNS). Am J Clin Nutr. 2011 Jun;93(6):1328-36.
  3. Insawang T, Selmi C, Cha’on U, Pethlert S, Yongvanit P, Areejitranusorn P, Boonsiri P, Khampitak T, Tangrassameeprasert R, Pinitsoontorn C, Prasongwattana V, Gershwin ME, Hammock BD. Monosodium glutamate (MSG) intake is associated with the prevalence of metabolic syndrome in a rural Thai population. Nutr Metab (Lond). 2012 Jun 8;9(1):50. 
  4. Bertoli S, Leone A, Battezzati A. Human Bisphenol A Exposure and the “Diabesity Phenotype”. Dose Response. 2015 Jul 31;13(3):1559325815599173.
  5. Decalogo Istituto Superiore di Sanità