Oltre che uno “sfizio”, bere due o tre tazzine di caffè al giorno, fino a un massimo di 4 secondo le raccomandazioni della Food and Drug Administration americana e dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), potrebbe rivelarsi salutare. Un gruppo di ricercatori canadesi della McMaster University avrebbe scoperto che da 400 a 600 mg di caffeina al giorno, contenuto nelle sopracitate tazzine, possono contribuire a ridurre il rischio di morte per malattie cardiovascolari. Grazie a una particolare (re)azione biochimica che interagisce con specifici fattori cellulari correlati al colesterolo LDL. Lo studio è stato recentemente pubblicato su Nature Communications.

Il meccanismo di base

Non solo un sospetto: la caffeina (FC) secondo alcune evidenze sarebbe in grado di ridurre il rischio di malattie cardiovascolari (CVD), inibendo la produzione di colesterolo LDL, fra i principali capi d’accusa per lo sviluppo di patologie a carico e danno del sistema cardiovascolare. Come agisce la FC e in quale misura? Il meccanismo non era noto e a studiarlo ci ha pensato un pool di ricercatori canadesi che ha focalizzato l’attenzione su due regolatori dei livelli circolanti di colesterolo lipoproteico a bassa densità (LDLc): la proproteina convertasi subtilisina/kexina tipo 9 (PCSK9) e il recettore delle lipoproteine a bassa densità (LDLR).

Un importante regolatore di LDLc è la proteina legante gli elementi regolatori degli steroli 2 (SREBP2), un fattore di trascrizione residente del reticolo endoplasmatico (ER). SREBP2 è attivato dalla riduzione del colesterolo intracellulare e dalla perdita di ER Ca2+, che quindi innesca la traslocazione nel nucleo e l’induzione dei geni regolatori del colesterolo, tra cui PCSK9, LDLR e idrossimetilglutaril-CoA reduttasi (HMGR). Gli esperimento condotti hanno consentito di osservare che mitigando i livelli di PCK9 nel sangue, di produceva di rimando un aumento dell’espressione del recettore LDL situato sulla superficie del fegato e della clearance del colesterolo LDL. Da qui l’evidenza che la caffeina si associ al metabolismo del colesterolo a livello molecolare con le indotte implicazioni.

Le dosi di caffeina consentite

In relazione alle attestazioni in lettura che un bevitore di caffè medio immagazzina quotidianamente tra 400 e 600 mg di FC, organizzazioni come Health Canada e Food and Drug Administration hanno concluso che queste quantità non si correlano a tossicità, effetti cardiovascolari, impatto sullo stato osseo, squilibrio del calcio, alterazioni del comportamento, incidenza di cancro o effetti sulla fertilità maschile. Al contrario, vi sarebbe evidenza che livelli da moderati ad alti di FC (>600 mg), consumati quotidianamente sotto forma di bevande analcoliche, possano associarsi a una riduzione del rischio di CVD. Altresì, studi biochimici avrebbero dimostrato che la FC aumenta i livelli intracellulari di Ca2+ e induce vasodilatazione dell’endotelio vascolare attraverso il rilascio di ossido nitrico, processo cellulare noto per l’effetto cardioprotettivo.

I progressi nelle terapie (e non solo)

Sulla base di queste informazioni, gli anti-PCSK9 (anticorpi monoclonali che agiscono bloccando il PCSK9), sono ora impiegati nel trattamento di pazienti ad alto rischio di CVD, producendo una riduzione del 60-70% dei livelli di LDLc. Sebbene efficaci, l’alto costo e/o la necessità di somministrazione sottocutanea, rappresentano un limite alla disponibilità degli anti-PCSK9 su larga scala e a livello globali. Ed ecco la necessità di sviluppare soluzioni alternative: è allo studio la messa a punto di nuovi derivati della caffeina che possano abbassare i livelli ematici di PCSK9 con una potenza maggiore rispetto alla caffeina stessa, aprendo la possibilità di nuovi nutraceutici in grado di ridurre il colesterolo LDL e mitigare il rischio cardiovascolare.

Fonti:

  • Lebeau PF, Byun JH, Platko K et al. “Caffeine blocks SREBP2-induced hepatic PCSK9 expression to enhance LDLR-mediated cholesterol clearance”. Nature Communications, 13, 770 (2022). https://doi.org/10.1038/s41467-022-28240-9