Dolore cronico, nausea e vomito da chemioterapici, spasticità, epilessia e in alcuni casi anche depressione e ansia. Sono alcuni contesti nei quali il ricorso alla cannabis terapeutica potrebbe offrire indicazione e efficacia d’uso a vantaggio del contenimento delle differenti sintomatologie. Tuttavia, nonostante le evidenze, il limite all’impiego è spesso rappresentato dalla mancata standardizzazione del processo estrattivo della sostanza, che impatta sulla qualità del prodotto finito e dunque sulla riduzione dei potenziali benefici. Il metodo estrattivo CERFIT potrebbe ovviare a questa criticità.

Il nodo “terapeutico”

L’effetto positivo della cannabis terapeutica sul contro del dolore e di altri quadri clinici di gestione complessa o difficile è acclarato. Resta ancora un nodo da sciogliere per favorirne un più largo impiego: la messa a punto di un processo estrattivo, altamente riproducibile, dunque standardizzato, traducibile anche in una maggiore qualità del prodotto, associata soprattutto ad alcune componenti della cannabis/cannabonoidi. Tra queste i terpeni, quali limonene, beta-mircene, alfa-pinene, molecole altamente volatili la cui concentrazione risente sensibilmente delle condizioni di estrazione ad alte temperature.

Studi scientifici hanno dimostrato che la conversione dei cannabinoidi acidi nei loro corrispettivi decarbossilati richiede il riscaldamento del materiale vegetale: processo che si lega anche la maggiore criticità della procedura. I tempi prolungati sia in fase di decarbossilazione sia in fase di estrazione e le temperature elevate durante il processo impattano, infatti, negativamente sulle concentrazioni di terpeni all’interno del prodotto finito, compromettendone in parte qualità e potenzialmente l’efficacia.

Il metodo CERFIT

Tale criticità potrebbe essere ovviata con il metodo estrattivo e di preparazione CERFIT (Centro di Riferimento Regionale in Fitoterapia): questo, al fine di preservare le caratteristiche del fitocomplesso, cioè delle sue inflorescenze e stabilizzare quanto più possibile le concentrazioni di terpeni, utilizza una metodica in cui la decarbossilazione avviene in maniera “controllata”, grazie all’alternanza regolare di fasi di riscaldamento e raffreddamento che limita sensibilmente lo stress termico.

Ulteriore elemento positivo è rappresentato dal ricorso a un sonicatore a sonda durante la fase di estrazione delle molecole, posto direttamente all’interno di un beker contenente infiorescenze in olio MCT, mantenuto in un bagno d’acqua refrigerato. Studi analitici effettuati successivamente sul fitocomplesso fanno rilevare una qualità migliore dei terpeni, così come della concentrazione delle molecole farmacologicamente attive. Infine, vi sarebbe evidenza che il metodo CERFIT è in grado di “produrre” estratti privi di terpeni ossidati dovuti alla degradazione terpenica e che sono un marker di invecchiamento.

Passi avanti

L’auspicio è che il metodo CERFIT possa essere testato all’interno di una sperimentazione clinica per potere verificare/confermare che l’ottimizzazione della metodologia di estrazione corrisponda anche una maggior efficacia del farmaco galenico a vantaggio della formulazione di prodotti sempre più standardizzati.

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