Investire in formazione in sanità e negli altri settori. Non è solo un bisogno, ma una necessità emergente, se si vorranno trarre i maggiori benefici dall’ingresso nella pratica quotidiana del Fascicolo sanitario elettronico (Fse) e della telemedicina, grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Lo sottolinea Fidelia Cascini, docente di Igiene e Sanità Pubblica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e referente incaricato dalla Direzione Sistemi Informativi del Ministero della Salute, ministero che rappresenta al tavolo tecnico permanente sull’intelligenza artificiale della Presidenza del Consiglio.

La missione 6

Non basta introdurre la tecnologia per favorire una salute di prossimità al cittadino e una continuità di cura; occorre anche avviare un adeguato percorso di (in)formazione al professionista e alla popolazione per fare buon uso dei nuovi strumenti digitali. Perché introdurli? Per garantire maggiore qualità di cura e “vicinanza” al territorio, favorendo l’attuazione e l’implementazione dell’assistenza domiciliare.

Le soluzioni tecnologiche, attuali e di prossima introduzione, intendono rispondere efficacemente e in maniera concreta agli emergenti bisogni di salute. L’obiettivo del Paese è raddoppiare la quota di persone/pazienti assistiti a domicilio, fornendo servizi di prossimità che favoriscano la continuità assistenziale dall’ospedale al luogo decentrato dove avviene il monitoraggio a distanza. Più specificatamente offrire assistenza al domicilio, la casa come primo luogo di cura.

Un piano di azione che ha come finalità anche la gestione della cronicità, il monitoraggio cioè di pazienti diabetici, scompensati, neurodegenerativi che necessitano di una presenza più costante dell’operatore sanitario. Esperienze internazionali dimostrano che la telemedicina possa dare più protezione in termini di salute, riducendo rischi di progressioni patologiche.

Limiti e sfide

Il primo ostacolo è rappresentato dall’uso della tecnologia: pazienti e professionisti non sono ancora adeguatamente formati al digitale, anche a causa di fattori contingenti (età, scarsa propensione a strumenti tecnologici, assenza di care-giver che possano aiutare alla loro gestione. Mancano, inoltre, sul territorio adeguate connessioni, non sempre garantite, e infrastrutture, non solo architetturali ma anche di organizzazione con management e decisori politici, finalizzate a creare funzionalità e il raggiungimento dell’obiettivo.

Come condurre e favorire l’introduzione della tecnologia? Occorre innanzitutto educare all’uso corretto del software i professionisti, fornendo informazioni tecniche adeguate sullo strumento, mentre le aziende produttrici dovranno i proporre app e device per registrare i parametri dei pazienti facili e fruibili dal più ampio pubblico possibile.

Molto dipenderà dalle Regioni, cioè dalla capacità di organizzare l’assistenza domiciliare che, ormai è chiaro, richiede team multidisciplinari di professionisti e l’azione integrata di centrali che devono erogare assistenza e garantire il coordinamento del personale.

Le prime app

Le prima a comparire sul mercato dovrebbero essere quelle capaci di fornire informazioni predittive, ad esempio stimando i rischi di pandemie o di patologie importanti quanto a burden of disease, e di programmazione. App cioè capaci di fare una valutazione dei rischi connessi a predisposizioni genetiche o d esposizioni ambientali e a plurifattori che combinati fra loro possano aumentare le probabilità di sviluppare determinate malattie. Tali analisi permetteranno di stratificare la popolazione e programmare campagne di screening mirate, sempre a favore della sostenibilità del Sistema Sanitario nazionale.

Non ultimi, sono attesi sistemi di supporto a decisioni diagnostiche, ad esempio di lettura di referti di imaging da software, capaci di individure piccoli tumori non leggibili dall’occhio umano così da avviare programmi di diagnosi precoce.

Infine le app e l’intelligenza artificiale potranno trovare applicazione anche nella ricerca medico scientifica, l’incrocio di dati di precedenti studi o di dati delle banche dati sanitarie e di trial clinici potranno indirizzare verso una ricerca più puntuale e i maggiori bisogni di salute.