Liberarsi dai pregiudizi e imparare ad ascoltare

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Come integra le due visioni nella sua pratica quotidiana?

Anche se attualmente la mia attività medica è più orientata alla psicoterapia, ci sono ancora molti pazienti che seguo da diversi anni come omeopata e agopuntore e per i quali sono il “medico di riferimento”; poi non mancano pazienti con pluripatologie, quindi con trattamento farmacologici costanti in atto, inviati anche da specialisti convenzionali che pensano che un approccio non convenzionale, come ad esempio l’agopuntura per il mal di schiena, possa giovare evitando loro un ulteriore aggravio del carico farmacologico. La mia diagnosi è basata sulla storia, sugli esami di laboratorio e strumentali, sulla valutazione clinica e psichica e ogni sintomo è calato e “pesato” nel contesto del paziente e della sua malattia. La mia formazione medica di tipo occidentale e le mie conoscenze di omeopatia e medicina cinese e complementari mi consentono di utilizzare un approccio terapeutico estremamente diversificato e adattabile alle esigenze del paziente. In genere un nuovo paziente viene da me per cercare una soluzione ad un problema, spesso cronico, che i diversi specialisti non sono riusciti a risolvere, e non tanto perché sia convinto a priori della bontà dell’approccio omeopatico. Devo dire che preferisco che sia così perché in questo modo mi lascia molta libertà di cura e posso quindi adottare una strategia mista, magari sfruttando i vantaggi dati dall’impiego a basso dosaggio. Penso che sia importante lavorare per il benessere del paziente e non evitare di usare una terapia che può essere utile solo perché non rientra nei nostri abituali schemi di pensiero. Nella mia attività non ho mai avuto contrasti con i medici di medicina generale e ho rapporti di stima e fiducia reciproca con molti specialisti con i quali collaboro nel rispetto delle reciproche competenze. Credo che in futuro sia necessario uscire dalla contrapposizione medico convenzionale e non convenzionale per arrivare ad essere medici con diversi strumenti terapeutici che possono integrarsi e convivere; utilizzarli o meno dipende solo dal fatto che possano o meno essere utili al benessere del paziente.

Ha qualche caso di cui ci vuole parlare?

Qualche anno fa si è presentata nel mio studio una ragazza di 15 anni accompagnata dalla madre. La ragazza stava male: era inappetente, aveva nausea ed era dimagrita. Era così stanca da non riuscire ad andare a scuola. Nell’anamnesi era presente da diversi mesi anche una mononucleosi. Sono venute da me molto preoccupate perchĂ© medici di una struttura molto qualificata specializzata nei disturbi dell’alimentazione avevano posto diagnosi di anoressia. Una diagnosi che non mi convinceva. Pur essendo di fronte ai sintomi classici di questo disturbo, l’ascolto della figlia, della madre e del loro vissuto, mi hanno indirizzato verso altre interpretazioni del quadro clinico. Grazie alla mia preparazione di psicoterapeuta mi sono preso la responsabilitĂ  di sconsigliare il proseguimento di un percorso di terapia per l’anoressia, ritenendolo sbagliato in questo caso. Ho iniziato quindi a trattare la mononucleosi che a mio parere non era del tutto risolta e poteva essere responsabile della sintomatologia. Ho seguito questa paziente curandola con una terapia antivirale, antinfiammatoria e di rinforzo basata su rimedi omeopatici a basso dosaggio. Ho gestito personalmente anche il piano alimentare con una dieta mirata. Dopo due anni i valori sono tornati nella norma e il recupero è stato completo con grossa soddisfazione mia e dalla paziente che grazie al recuperato benessere ha ritrovato voglia ed energia per dare corpo alla sua passione narrativa, scrivendo un libro giallo e riuscendo a pubblicarlo. Questo caso conferma come sia estremamente importante basare la parte diagnostica su tutta la storia e sulla coincidenza temporale dei sintomi, sulla familiaritĂ  e sul contesto, che danno un altro valore ed un altro peso al sintomo stesso. Curare questa ragazza per l’anoressia non solo non avrebbe risolto la situazione ma avrebbe creato nuovi ed altri problemi. Questo caso purtroppo è un esempio di come l’eccessiva specializzazione e la “decontestualizzazione” dei sintomi può danneggiare la medicina. L’eventuale invio a colleghi specialisti deve avvenire solo dopo aver fatto un’accurata diagnosi di primo livello che deve essere scrupolosa ed analitica, deve raccogliere il maggior numero di dati possibile affinchĂ© si possa avere una adeguata prospettiva terapeutica. Nel caso che ho raccontato non posso dire che gli esperti che hanno posto diagnosi di anoressia abbiano sbagliato. Se lo psichiatra si trova di fronte ad un’adolescente con astenia, inappetenza, nausea e dimagramento non sbaglia se leggendo questi sintomi all’interno della sua specialitĂ , fa una diagnosi di anoressia, perchĂ© dĂ  per scontato che altre possibili malattie che portano a quell’insieme di sintomi siano giĂ  state valutate ed escluse. Bisognerebbe riuscire, grazie all’ascolto del paziente, della sua storia, dei sui sintomi, ad arrivare a comprendere la malattia nella sua totalitĂ  e complessitĂ . Nella mia pratica clinica grazie alla formazione anche olistica sono facilitato rispetto ai colleghi di formazione solo allopatica perchĂ© sul piano diagnostico e terapeutico di primo livello posso avvalermi di maggiori possibilitĂ  di intervento.