Anche un lieve incremento dell’attività di cardiofitness potrebbe favorire nella popolazione maschile una sensibile riduzione del tumore della proposta, neoplasia a larga diffusione nell’uomo dopo i 50 anni.

Un beneficio che sarebbe indipendente dal livello di forma fisica di partenza. È quanto dimostrerebbe uno studio, ampio, svedese pubblicato sul British Journal of Sports Medicine

L’evidenza

Il rapporto è indirettamente proporzionale: uno sforzo relativamente ridotto per un importante guadagno in termini di prevenzione.

Il binomio, secondo uno studio svedese si assocerebbe alla riduzione del rischio per il maschio di incappare in un tumore della prostata: a fronte di un incremento di solo 3% di attività, specificatamente di cardiofitness, quali ad esempio nuoto, camminata a passo sostenuto, corsa, scale a piedi che contribuiscono ad accelerare il battito cardiaco, si registrerebbero probabilità di sviluppare la neoplasia inferiori del 35%.

Il dato ancora più interessante è che tale benefico non relazionerebbe a un livello di preparazione fisica a monte importante: il cardiofitness svolgerebbe, dunque, un effetto preventivo, indiscriminato, legato all’attività in quanto tale, non alla prestanza atletica.

A confermare l’evidenza l’analisi su 57.600 maschi, estrapolati da un database di oltre 181mila uomini, contenente informazioni su attività fisica e BMI (indice di massa corporea), che si erano sottoposti ad almeno due test su cicloergometro per la valutazione del fitness cardiorespiratorio in due momenti differenti della loro vita: esisterebbe una associazione diretta tra cambiamenti nell’idoneità cardiorespiratoria (CRF) in età adulta e incidenza e mortalità per cancro alla prostata.

I risultati

Gli oltre 57.600 partecipanti sono stati monitorati con un follow-up medio di 6,7 anni (SD 4,9), di questi 592 (1%) hanno ricevuto una diagnosi di cancro alla prostata a fronte di 46 (0,08%) decessi per patologia.

Il periodo di osservazione ha tuttavia consentito di osservare che un aumento del CRF assoluto (come % di L/min) era correlato a una riduzione del rischio di incidenza del cancro alla prostata (HR 0,98, IC 95% da 0,96 a 0,99) ma non di mortalità, nel modello completamente aggiustato. Viceversa, la valutazione per sottogruppo in base cioè a CRF aumentato (+3%), stabile (±3%) o diminuito (-3%), ha mostrato un quadro sensibilmente cambiato, dove a fare la differenza era la quantità di cardiofitness praticato.

Coloro con maggiore forma fisica hanno fatto registrare una riduzione del rischio di incidenza rispetto a maschi meno “prestanti” (HR 0,65, IC al 95% da 0,49 a 0,86).

La capacità cardiorespiratoria è stata misurata con il “VO2 max”, test che valuta la quantità di ossigeno consumata durante il massimo sforzo fisico, una corsa sul tapis roulant o una pedalata sulla cyclette ad esempio, dove valori alti sono indicativi di un buon fitness cardiorespiratorio, ovvero della capacità dell’organismo, di cuore, polmoni e muscoli nello specifico, di assumere ossigeno e di sfruttarlo al meglio per produrre energia.

In conclusione

Indipendentemente dal livello di partenza, un incremento dell’attività di cardiofitness riduce le probabilità di ammalarsi fino al 35% di tumore prostatico. Importante è che la pratica attenga a attività che contribuiscano ad accelerare il battito cardiaco.

Fonte

Bolam KA, Bojsem-Møller E, Wallin P et al. Association between change in cardiorespiratory fitness and prostate cancer incidence and mortality in 57 652 Swedish men. British Journal of Sports Medicine, 2024, 58(7):366-372. Doi: 10.1136/bjsports-2023-107007. 

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