Il microbiota intestinale avrebbe a che fare anche con le longevità. Studi di letteratura ed in particolare una review narrativa, italiana, dell’Università di Bologna, confermerebbe che la “salute” della popolazione microbica intestinale e la presenza di specifici ceppi batterici non solo può agire sull’insorgenza/evoluzione/controllo di alcune patologie dell’invecchiamento, ma anche interferire con l’azione farmacologica.

Un legame a doppio filo

È noto che lo stato di buona salute condiziona il benessere dell’intero organismo. A riprova di questa relazione anche “dati clinici” in popolazioni di pazienti anziani: in questo cluster si osserverebbe la capacità, da un lato, della popolazione microbica di fungere da trigger o da modulatore nello sviluppo di malattie dell’invecchiamento e dall’altro di condizionare l’efficacia delle terapie impiegate nel trattamento delle stesse.

Coma a dire che evidenze di letteratura suggerirebbero l’influenza del microbiota sulla farmacocinetica, gli effetti collaterali e la risposta a farmaci comunemente impiegati nei pazienti anziani: quanto più è in salute il microbiota e quanto più sono presenti specifici ceppi batterici (batteri buoni), tanto migliore è la (re)azione sull’anziano.

Ecco dunque una potenziale indicazione a ricorrere all’uso di prebiotici, probiotici ma anche del trapianto di microbiota fecale (FMT), come “terapie” migliorative del decorso delle malattie senili, dell’anziano e del grande anziano.

Vi sarebbero evidenze, ad esempio, circa i benefici di kefir e flavonoidi in patologie cardiovascolari, o di alcuni ceppi batterici, come i Lactobacillus, nel favorire la funzione cognitiva nei malati di Alzheimer.

I batteri “centenari”

Dato per assodato che un microbiota sano è fautore di benessere, alcune famiglie di microrganismi sembrano promuovere la longevità.

Pare, infatti, dai più recenti studi di letteratura che la composizione del microbiota intestinale di centenari e supercentenari, con oltre 105 anni, sia maggiormente popolata di Bifidobacterium, Akkermansia e Christensenellaceae, a fronte dell’ambiente intestinale di adulti caratterizzato in prevalenza da scarsità di phyla, soprattutto Firmicutes e Bacteroidetes, di alcune famiglie, come le specie Lachnospiraceae, Ruminococcaceae e Bacteroidaceae, e/o di altri generi impegnati nella produzione di sostanze indispensabili per l’organismo.

Su questo aspetto influisce anche la dieta: una alimentazione povera di fibre, insieme all’espressione di geni coinvolti nel metabolismo di prodotti chimici nocivi, potrebbe alterare il microbiota e provocare la comparsa di diverse patologie dell’invecchiamento. Qualche esempio:

  • In anziani lungodegenti in RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) si è osservato che batteri come Faecalibacterium prausnitzii dalle proprietà antinfiammatorie vengano sopraffatti dalla sintesi di lipopolisaccaride (LPS) e dalla presenza di Enterobacteriaceae che, insieme al rilascio di TNF-alfa, IL-6, IL-8 e PCR, con azione pro-infiammatoria locale e sistemica.
  • In caso di malattia di Alzheimer avanzata, o anche di malattia di Parkinson, le specie “buone”, tra cui Ruminococcaceae e Lachnospiraceae, sono deficitarie rispetto a quelle “cattive”, tra queste Alistipes, Bacteroides. Sono in superiorità anche le specie patogene come Collinsella, Sarcina e Ruminococcus, così come si registra una maggiore presenza di Escherichia/Shigella, a danno invece di Eubacterium rectale e Bacteroides fragilis. 
  • Specificatamente nella malattia di Parkinson, accompagnata in molti casi da disturbi gastrointestinali, si osserva una riduzione dei batteri produttori di SCFA (acidi grassi a catena corta), nello specifico di Faecalibacterium, Blautia, Roseburia e Prevotella, e l’aumento di specie muco-degradanti come Akkermansia muciniphila e Oscillospira che favoriscono la permeabilità intestinale e dunque lo sviluppo di flogosi. Un contesto che interagisce e influenza anche l’efficacia nel trattamento con Levodopa, gold standard per la patologia, a causa della presenza, più o meno importante di Enterococcus e Lactobacillus, che ne riducono la biodisponibilità. 
  • In caso di ipertensione e patologie cardiovascolari si osserverebbe l’importante riduzione di alcuni ceppi produttori di SCFA, acidi grassi che modulano anche la pressione sanguigna, a fronte invece dell’abbandanza di Lactobacillus, Eggerthella e Bacteroides plebeius. Inoltre, l’assunzione elevata di acidi grassi promuove la biosintesi di LPS (lipopolisaccaride)e quindi la stimolazione dei Toll-Like Receptors (TLR), che aumentano la permeabilità intestinale e la quantità di effettori pro-infiammatori, come il TMAO, un fattore di rischio cardiovascolare.
  • Altro caso, pazienti in terapia con ACE inibitori mostrano la proliferazione di Rothia e Blautia e la riduzione dei livelli di Dorea. Inoltre i beta-bloccanti favorirebbero anche a maggiore presenza di Streptococcaceae.
  • La Sindrome di Down induce invece lo sviluppo/proliferazione di Parasporobacterium e Sutterella. Quest’ultima, secondo alcuni studi cinesi, impattante anche su alcune caratteristiche comportamentali.
  • Gli inibitori di pompa protonica sembrano invece favorire l’abbondante presenza di Micrococcaceae e del genere Rothia, che riducono la resistenza alle infezioni da Clostridioides difficile, Salmonella e Campylobacter. Tuttavia, in uno studio del 2020, il farmaco in vitro sarebbe stato metabolizzato da quasi tutti i 76 ceppi intestinali selezionati, in particolare Bacteroides e Clostridium.
  • Infine i FANS, sebbene gli studi siano limitati, sembrano favorire l’aumento complessivo di microbi, a detrimento di ceppi buoni. Fra questi: Actinobacteria (compreso Collinsella) e Lactobacillus

Nutrire il microbiota

Il microbiota interferisce anche a livello farmacologico. Ad esempio, può attivare profarmaci, come sulfasalazina e prontosil, inattivare farmaci biologicamente attivi tra cui metotrexato, paracetamolo, e incidere sulla loro tossicità in caso di FANS.

Mantenerlo in salute, anche con una “nutrizione” giusta, è pertanto una priorità: vi è evidenza che prebiotici, flavonoidi e polifenoli possano essere da supporto nella cura dell’ipertensione convertendo cioè i microrganismi enterici nella loro forma attiva, aumentandone quindi la biodisponibilità e mediandone gli effetti benefici.

Ancora, studi clinici e preclinici, sembrano suggerire l’efficacia di miscele probiotiche nella cura di cirrosi, sarcopenia e ipertensione. Mentre miscele a basedi Bifidobacterium bifidum e di tre specie di Lactobacillus potrebbero contribuire a migliorare la funzione cognitiva e dello stato metabolico nell’Alzheimer: al riguardo è in corso una sperimentazione clinica. 

Le innovazioni

Tra gli studi emergenti si sottolineano quelli sui simbionti: sono oggetto di indagine il koji di soia nero, alimento fermentato con l’aggiunta di funghi del genere Aspergillus e Rhizopus, dalle proprietà antiossidanti, come possibile trattamento per ritardare la perdita muscolare nei soggetti sarcopenici.

Recenti ricerche evidenziano che il latte fermentato riduce la costipazione, grazie alla concentrazione maggiore di ceppi probiotici e fibre prebiotiche.

Infine, in relazione al trapianto fecale, la ricerca è ancora agli inizi, tuttavia vi sarebbero risultati incoraggianti in ambito gastroenterologico e cardiologico, mentre sono in corso studi per valutare l’impatto sulla disbiosi e costipazione nella Malattia di Parkinson.

In conclusione

La ricerca è in itinere ma si attendono dai risultati sul microbiota risposte promettenti per la gestione delle patologie nell’anziano.

Fonte

Barone M, D’Amico F, Rampelli S et al. Age-related diseases, therapies and gut microbiome: A new frontier for healthy aging. Mechanisms of Ageing and Development, 2022. Doi:https://doi.org/10.1016/j.mad.2022.111711

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