Alte dosi di vitamina D, assunte per cinque anni, sembrerebbero impattare sul rischio di sviluppo fibrillazione atriale (FA) nella popolazione di età superiore a 60 anni.

È la tesi, tuttavia da confermare, di un ampio studio finlandese, pubblicato sull’American Heart Journal, che porrebbe le basi per possibili potenziali approcci di basso costo nel trattamento e controllo della FA, la più comune forma di aritmia. Questa, il cui rischio di sviluppo aumenta con l’età, si associa anche ad una maggiore incidenza di ictus, insufficienza cardiaca e mortalità.

Lo studio

Si chiama FIND (Finnish vitamin D trial) ed è stato condotto da ricercatori dell’Università della Finlandia orientale con l’obiettivo di valutare la possibile efficacia di una terapia costante e integrata, ad alte dosi di Vitamina D, sul rischio di comparsa di FA in soggetti di età medio avanzata. 

La premessa all’indagine parte da alcuni studi di letteratura che mostrano un effetto della vitamina D sulla struttura atriale e sulla funzione elettrica del cuore, ovvero un potenziale ruolo anche nella prevenzione della FA. Base che ha spinto i ricercatori finlandesi ad avviare uno studio, randomizzato controllato, che ha coinvolto 2.495 volontari, tutti con specifiche caratteristiche: età pari o superiore a 60 anni per gli uomini e 65 per le donne, assenza di cardiopatie in atto. 

Questa popolazione è stata poi suddivisa in tre gruppi destinati a ricevere, per cinque anni: placebo o Vitamina D 40 µg/die (1.600 UI) o Vitamina D 80 µg/die (3.200 UI). In circa il 20% dei partecipanti sono stati raccolti anche prelievi di sangue per la rilevazione e il monitoraggio di alcuni marker ematochimici. È stata, inoltre, richiesta a tutti i partecipanti la compilazione di questionari su stile di vita e alimentazione, sia all’inizio che durante lo studio.

I risultati

Hanno dimostrato una potenziale efficacia delle Vitamina D sulla FA, confermata da numeri preliminari. Complessivamente nel periodo di studio si sono registrati 190 casi di fibrillazione atriale, così spartiti: 76 nel gruppo placebo, 59 nel gruppo 40 µg/die e 55 nel gruppo 80 µg/die, ovvero in numero decrescente con l’aumentare della dose di Vitamina D, correlato anche alla diminuzione del rischio di FA. 

Quest’ultimo è, infatti, stato stimato inferiore del 27% nel gruppo 40 µg/die e del 32% nel gruppo 80 µg/die, rispetto al placebo. Infine, per quanto concerne la popolazione sottoposta anche a prelievo di sangue, è stato rilevato che la concentrazione sierica media di calcidiolo al basale, marker della concentrazione di vitamina D nell’organismo, era relativamente alta, pari a 75 nmol/l.

Dopo un anno, era di 100 nmol/l nel gruppo 40 µg/die e di 120 nmol/l nel gruppo 80 µg/die. Nessun cambiamento significativo si sarebbe osservato, invece, nel gruppo placebo. I dati dunque farebbero desumere la capacità della Vitamina D di ridurre il rischio di FA in uomini e donne generalmente sani sottoposti a integrazione.

Non traiamo frettolose conclusioni

Stante che due studi randomizzati precedentemente condotti non farebbero osservare una benefica relazione di causa effetto, sia in caso di dosi di 10 µg/die che si 50 µg/die, gli autori si trovano concordi nel ritenere che vadano effettuate ulteriori indagini, prima di suggerire il ricorso a dosaggi di Vitamina D che vadano oltre alle raccomandazioni per la prevenzione della FA, tanto più che risultati precedenti dello studio FIND non avrebbero mostrato benefici su altri eventi cardiovascolari.

Fonte:Virtanen JK, Hantunen S, Lamberg-Allardt C et al. The effect of vitamin D3 supplementation on atrial fibrillation in generally healthy men and women: The Finnish Vitamin D Trial. American Heart Journal, 2023, Vol. 264, Pages 177-182. Doi: https://doi.org/10.1016/j.ahj.2023.05.024