In condizioni normali l’organismo umano tende, quando sottoposto a fattori fisici e psicofisici stressanti particolarmente incisivi per intensità o durata, ad attivare in propria difesa quella che lo scienziato americano Hans Selye, nel 1937, definì come sindrome generale di adattamento. Con questa espressione si intende una risposta aspecifica, a decorso sempre uguale, che consente all’organismo stesso di reagire ai più diversi fattori ambientali, adattandosi nel migliore dei modi alle condizioni esterne.

Il corpo umano è quindi una “macchina” perfettamente congegnata per reagire al meglio agli stimoli ambientali, mantenendo il proprio equilibrio, la propria omeostasi. È necessario, tuttavia, essere consapevoli che questa capacità di adattamento, oltre ad avere un limite, che dipende da quella che potremmo definire “energia di adattamento” dell’organismo, variabile in base all’età, al sesso e allo stato complessivo di salute, viene inesorabilmente logorata dallo stress.

Lo stress

In presenza di un accumulo eccessivo di stress si verifica quello che potremmo definire un “sovraccarico” dei sistemi organici coinvolti nella risposta e le nostre riserve energetiche possono diminuire, fino a raggiungere quello che viene definito stadio di esaurimento, caratterizzato da una serie di disturbi.

Tra questi, diminuzione del rendimento fisico e mentale, costante senso di affaticamento, mancanza di entusiasmo, scarsa vitalità, difficoltà di concentrazione o di memorizzazione, mal di testa, sbalzi d’umore, ansia e insonnia. Sono solo alcuni dei sintomi che evidenziano uno stato di sofferenza generale dell’organismo causato da quello che viene definito, più precisamente nella sua accezione negativa, di-stress, responsabile di un’alterazione delle risposte psico-fisiche, definito dallo stesso Selye “uno stress spiacevole e causa di malattia”.

In risposta allo stress, secondo la visione scientifica più consolidata, l’organismo attiva quello che viene definito asse ipotalamo-ipofisi-surrene. In condizioni di stress l’ipotalamo, dietro stimolazione della corteccia, sintetizza e libera il CHR (Corticotropin Releasing Hormone), ormone polipeptidico ipotalamico e neurotrasmettitore, che raggiunge attraverso il sangue l’ipofisi, dove induce, a sua volta, la sintesi e la liberazione di un altro ormone, l’ACTH (Adrenocorticotropina).

Quest’ultimo ha come bersaglio la parte esterna della ghiandola surrenale, raggiunta la quale induce la sintesi e la liberazione di ormoni steroidei come il cortisolo, il quale produce una serie di effetti metabolici e sul sistema immunitario (per garantire il massimo sostegno agli organi vitali, rispondendo alla risposta fisiologica primordiale del fight or fly), oltre a controllare attraverso l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene la sua stessa secrezione.

Gli adattogeni

Per gestire adeguatamente il sovraccarico della quotidianità, modulando e normalizzando la risposta generale dell’organismo allo stress, riducendone soprattutto i danni sul lungo periodo, è possibile ricorrere a un gruppo di sostanze naturali riunite, per le peculiari attività che riescono a svolgere, in una categoria ben precisa, quella degli adattogeni.
Per quanto sorprendentemente ancora poco noto, il concetto di adattogeno vanta più di 60 anni e ha subito, nel tempo, una completa rivisitazione in relazione a fisiologia, farmacologia, tossicologia e farmacoterapia.

Si tratta di un gruppo di sostanze di origine naturale ed estratti di piante in grado di fornire un’integrazione di energia all’organismo, aumentandone la resistenza aspecifica nei confronti della fatica e di stimoli di diversa natura, normalizzando la sua risposta fisiologica e riducendo così gli effetti dello stress “da adattamento” e quindi i disturbi indotti dallo stress legati al sistema neuro-endocrino e immunitario.

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